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Crisi, le piccole imprese non riescono più a pagare i fornitori e il ritardo diventa prassi

Nicoletta Orlandi Posti
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Il calo della domanda, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, il peso delle tasse. Gli incassi delle piccole imprese italiane si contraggono per gli effetti della crisi e la conseguenza è che saltano le scadenze e non vengono rispettati i contratti, a partire da quelli fra le imprese: fornitori non pagati, pagamenti rimandati, debiti che si accumulano. È il quadro che emerge da un'indagine dell'Adnkronos su un campione di oltre mille piccole imprese distribuite su tutto il territorio: due su tre (il 65%) dichiara di essere in ritardo con un pagamento e di non aver onorato almeno un contratto nell'ultimo anno. L'85% è stata costretta a fare almeno una transazione, nei panni del creditore o del debitore, per risolvere un contenzioso altrimenti destinato alle vie giudiziarie. Poca affidabilità - La crisi, in sostanza, ha reso quasi una prassi il ritardato o addirittura mancato pagamento tra le imprese, abbassando in maniera sensibile il tasso di affidabilità piena dei contratti che, secondo i dati raccolti, è sceso sotto il 40%. La scarsa affidabilità ha inciso sui volumi del credito commerciale, che sono segnalati in costante calo. Come evidenzia il rapporto Cerved 2014, fino al secondo trimestre del 2014 si sono ridotti i mancati pagamenti, i ritardi rispetto alle scadenze pattuite con i fornitori e i tempi complessivi di attesa per la liquidazione delle fatture. Ma questo miglioramento è coinciso con una riduzione del credito commerciale erogato dai fornitori, con tagli soprattutto alle controparti più rischiose o con un irrigidimento dei termini. Non sono state solo le banche ad operare una selezione del credito in base alla rischiosità delle controparti, ma anche le imprese nell'erogazione dei fidi commerciali: secondo i dati di Payline, nel 2013 il credito commerciale si è ridotto di 2,7 punti percentuali, ma non tra le società più affidabili, che hanno invece ottenuto un aumento dei fidi del 4,5% rispetto all'anno precedente. A fronte della generale tenuta dei bilanci, in sostanza, le negative condizioni macroeconomiche hanno aumentato il rischio medio di insolvenza delle Pmi: a parità di qualità del bilancio, si è innalzata la probabilità di default. Secondo le stime realizzate da Cerved, i tassi di ingresso in sofferenza delle Pmi risultano su livelli storicamente elevati. Fallimenti - L'Italia, con 5,3 milioni di imprese attive al 31 dicembre 2013, è il Paese che vanta il maggior numero di microimprese e di pmi nell'Unione Europea, superando di gran lunga anche paesi più popolosi come la Germania e la Francia. La maggior parte delle aziende attive in Italia ha una veste giuridica che si adatta bene ad aziende familiari o di dimensione microscopica: si contano infatti 3,3 milioni di imprese individuali e oltre 900 mila società di persone attive. A partire dal 2008, il tasso di uscita delle imprese dal mercato si è impennato, con gravi conseguenze per le Pmi. Tra il 2008 e il primo semestre 2014, 13 mila pmi sono fallite, più di 5 mila hanno aperto una procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente: complessivamente un quinto delle Pmi attive nel 2007 è stato interessato da almeno una di queste procedure.

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