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Confindustria contro Renzi. Squinzi: "Magari vado in Svizzera"

Nicoletta Orlandi Posti
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Il fisco mannaro e la lentezza della macchina burocratica rischiano di far scappare dall'Italia nientemeno che il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi. Lo ha detto ieri lo stesso imprenditore, a metà tra la voglia di scherzare e quella di lanciare una seria denuncia. «Anche stamattina ho ricevuto delle offerte per spostare il nostro headquarter nel Canton Ticino», ha raccontato il patron della Mapei al governatore della Lombardia, Roberto Maroni, durante un confronto pubblico. «Se mi fanno aspettare cinque o sei anni per costruirlo qui a Milano», ha avvertito Squinzi, «è un'idea che andrò ad accarezzare». Maroni ha replicato in tono scherzoso: «Non ci pensare nemmeno». Il presidente di Confindustria a questo punto ha rassicurato il governatore, dicendosi «fiero di essere lombardo» e di lavorare nella «prima regione manifatturiera in Italia», avvisando però che occorre «creare le condizione perché le imprese lombarde non vadano all'estero».Per uno che può scegliere dove lavorare e da chi farsi tassare, come Squinzi, ci sono milioni di famiglie costrette a subire balzelli che hanno come obiettivo la riduzione del patrimonio privato. La patrimoniale - L'ultimo caso è quello della Tasi, che, secondo il presidente della sezione autonomie della Corte dei conti, Mario Falcucci, «continua a configurarsi prevalentemente come tassa patrimoniale». L'ennesima. La nuova «Tassa annuale sui servizi indivisibili», dunque, tradisce le premesse su cui è nata. Nelle intenzioni, ha ricordato Falcucci durante un'audizione alla Camera, «doveva essere una service tax che, come accade in altri Paesi europei, incide sugli occupanti, e quindi anche sugli inquilini, di immobili a uso abitativo, sulla base di un parametro di massima dei benefici derivanti dai servizi comunali, qual è la superficie dell'abitazione tenendo conto dell'ampiezza e della composizione della famiglia occupante». È diventata invece «qualcosa di diverso». La base imponibile, infatti, «è il valore catastale dell'immobile» e il contribuente «è di fatto quasi solo il proprietario». Per la Corte, inoltre, l'ampio margine di scelta attribuito alle amministrazioni locali nella determinazione delle aliquote, oltre a incidere «sull'accentuazione delle differenze di imposizione», potrebbe produrre forti differenze territoriali delle imposizioni, senza apprezzabili scostamenti nei servizi offerti. Il risultato sarebbero fenomeni di delocalizzazione, sia delle imprese che delle persone. Non vengono infine escluse «ricadute negative sotto il profilo della tax compliance», cioè dell'adesione dei contribuenti all'imposta.  Cari biglietti - Un'altra tassa, stavolta mascherata, è quella che rischia poi di imbattersi sulle famiglie alle prese con i mezzi di trasporto pubblici, e quindi prime tra tutte le famiglie con lavoratori pendolari. I costi dei biglietti di treni e autobus potrebbero infatti aumentare presto, fino - in alcuni casi - a raddoppiare. Carlo Cottarelli, l'economista incaricato di mettere a posto i conti dello Stato prima da Enrico Letta e poi da Matteo Renzi, ha previsto questa ipotesi nella sua proposta di spending review.  Per il trasporto pubblico, emerge infatti dai numeri di Cottarelli, l'Italia spende più del doppio rispetto agli altri Paesi dell'Unione Europea. In questi, mediamente, i biglietti pagati dai viaggiatori coprono il 50-60% della spesa sostenuta dalle aziende di trasporto; il resto è a carico della fiscalità generale. In Italia, invece, i costi dei biglietti coprono solo il 22% dei costi. Questo, secondo il commissario per la spending review, non è più ammissibile. Certo, ci sarebbe l'ipotesi di ridurre i costi delle aziende di trasporto, ma a quanto pare Cottarelli preferisce seguire la strada del rincaro delle tariffe, almeno in prima battuta. di Stefano Re

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