Ecco il manuale per annullaregli atti del Fisco
Prima di ricorrere al giudice, il contribuente può contestare le cartelle pazze con una semplice domanda. Ecco come si fa
di Claudio Antonelli Esisteva un modo di dire tra gli esperti tributaristi. «Italia, paradiso del sommerso e inferno dell'emerso». La prima parte non è quasi più vera. Mentre la seconda ancora permane nell'immaginario comune del contribuente e molto spesso nella realtà dei fatti. Dalle cartelle pazze fino a procedimenti automatizzati che spesso fanno di tutta l'erba un fascio, le storie di ordinaria (in)giustizia sono infinite. Bisogna però riconoscere che con la mediazione tributaria (pur con un terribile vizio di forma: il giudice è lo stesso ufficio che accusa) l'Erario ha voluto e vuole dare nuovo input alla semplificazione. Cioè rendere meno infernale l'inferno dell'emerso. Così come ha licenza di aprire tavoli di trattative per recuperare più in fretta soldi evasi, può da solo ammettere un errore fatto e stoppare l'eventuale contenzioso. Uno dei cardini della mediazione (anche se lo strumento è pre-esistente) è infatti l'autotutela. La procedura Quando a un contribuente viene recapitata una cartella di pagamento, che risulta essere sbagliata, o addirittura vengono richieste somme già pagate con un ravvedimento fatto di recente, è bene muoversi al più presto. Il cittadino che vuole contestare il contenuto e la somma da pagare scritta nella cartella può infatti avvalersi dell'autotutela che è uno strumento utile sia per l'Amministrazione finanziaria, sia per il contribuente in quanto si possono in questo modo effettuare delle verifiche ed evitare che il contenzioso si protragga con conseguente spreco di tempo e di denaro. Con una domanda in carta semplice, si può presentare l'istanza segnalando l'atto per il quale si richiede l'annullamento e, soprattutto, i motivi per i quali il contribuente chiede l'annullamento della cartella. Ovviamente per sostenere le proprie tesi, il contribuente è obbligato a presentare tutta la documentazione necessaria per permettere all'Amministrazione finanziaria di verificare effettivamente che c'è stato un errore e che quindi si può procedere all'annullamento, in tutto o in parte, dell'atto di riscossione. L'annullamento può essere chiesto in primis se c'è errore di persona, poi se il calcolo della multa è sbagliato. Se c'è doppia imposizione, se l'Erario non ha tenuto conto di documenti fatti pervenire in data successiva. Infine se l'amministrazione finanziaria non ha computato pagamenti già versati. Il riconoscimento dell'errore può essere sancito sia di fronte a una pendenza di giudizio, ma anche se ci fossero sentenze già in giudicato. Ovviamente l'annullamento dell'atto illegittimo comporta automaticamente l'annullamento degli atti sequenziali (ad esempio, il ritiro di un avviso di accertamento infondato comporta l'annullamento della conseguente iscrizione a ruolo e delle relative cartelle di pagamento) e l'obbligo di restituzione delle somme riscosse sulla base degli atti annullati. Siccome il potere della scelta è di fatto in mano allo stesso ufficio che ha commesso l'errore, nessuno può avere la certezza dell'accoglimento. Potrebbe intervenire la Direzione regionale da cui l'Ufficio dipende. Ma è raro. I piani alti poi intervengono solo se la cifra supera i 516 mila euro. Sotto è l'incertezza. Resta il ricorso Comunque anche nel caso in cui lo Stato dovesse rigettare l'istanza, non tutto è perduto; infatti, il contribuente ha ancora la possibilità di fare ricorso entro i termini di scadenza della cartella di pagamento, a seconda dei casi, presso il Giudice di Pace o presso la Commissione Provinciale Tributaria. Ciò non significa desistere. D'altronde è certo che solo con la conoscenza degli atti e degli strumenti di difesa il cittadino può far valere la propria voce. In caso contrario non si fa altro che supportare le tesi dei furbetti. Va poi segnalato che dal mancato esercizio del potere di autotutela può derivare un danno alla stessa amministrazione, specie nei casi di negligenza del comportamento omissivo, le cui responsabilità possono essere fatte ricadere sul soggetto operatore dell'amministrazione stessa. Infine, sotto la cifra dei 20 mila euro oggi vale per intero l'istituto della mediazione tributaria. Dallo scorso aprile, quando il contribuente riceve la notifica da parte dell'Agenzia delle Entrate di un atto del valore non superiore a ventimila euro, deve necessariamente avviare il procedimento per la mediazione tributaria, se vuole poi impugnare l'atto davanti alle Commissioni tributarie, altrimenti queste prenderanno in considerazione il ricorso proposto direttamente presso di loro solo per dire che… non può essere esaminato. Anche in questo caso però giudice e accusa indossano la stessa divisa.