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La Merkel non ride più: la crisi affonderà anche Berlino

A forza di rigore la recessione colpirà anche i tedeschi. Soros avverte l'Europa: o riforme o crolla tutto. Ma le grandi banche già sognano profitti record

Giulio Bucchi
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  Angela Merkel non ride più. Il tracollo del Dax di Francoforte di venerdì spiega una cosa sola: a forza di austerity la depressione arriverà anche in Germania. Perché - come ha ribadito ieri Barack Obama   - «la crisi dell'economia in   Europa ha gettato un'ombra anche sulla nostra economia». E se a questo ci aggiungiamo il rallentamento della Cina (oltre che di India e Brasile), beh, c'è poco da stare allegri per le esportazioni tedesche. Chi prenderà la Mercedes se i soldi nelle tasche dei consumatori saranno sempre meno? Poche settimane fa anche l'indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese germaniche, è calato bruscamente. Sì, oggi come oggi, Berlino paga ridicoli interessi suoi suoi 2.500 miliardi di debito pubblico,  tuttavia se l'euro dovesse saltare il paradiso finanziario su cui vive  la Cancelliera diventerebbe un purgatorio. Se non un inferno. Ne è sicuro George Soros: «In autunno la crisi arriverà anche in Germania». Domani, non a caso, ci sarà un doppio vertice fra José Manuel Barroso, presidente della Ue, e i capi di Cdu e Spd. La pressione è alta per la Merkel: se fino a qualche mese fa poteva contare sull'appoggio di Sarkozy e farsi forte con i poveri greci o con il Pdl, adesso è più difficile difendersi da un'alleanza globale contro il rigorismo senza se e senza ma. Mario Monti, non si sa a che titolo, ha concesso un'intervista alla stampa greca per dire che  «Gli eurobond diventeranno realtà, in una forma o nell'altra», aggiungendo che Atene «resterà nell'euro perché è nell'interesse dei cittadini e perché la nostra unione sta diventando sempre più integrata». Più lucido di lui è però Soros, che di crisi se ne intende: «Visto che la Ue è una bolla, servirebbero politiche straordinarie per dare respiro ai mercati finanziari.  Le banche hanno bisogno di un sistema di garanzia dei depositi a livello europeo. I Paesi gravemente indebitati hanno bisogno di respiro. La Germania probabilmente farà il possibile per salvare l'euro, ma nulla di più». Per questo  Mariano Rajoy preme per un'unione fiscale  e bancaria.   C'è però chi gode di questa situazione. E chi, se non Goldman Sachs? Pochi giorni fa il suo presidente Gary Cohn ha  messo in evidenza le opportunità che offre il processo di «deleveraging» - vendere proprietà -  in atto nel sistema finanziario del Vecchio Continente, con le banche europee intente a ridurre i loro bilanci nell'ordine di una somma complessiva che potrebbe toccare anche i 2.000 miliardi di dollari. «Il potenziale è estremamente interessante, vediamo un'opportunità di guadagno in Europa... Siamo in una posizione unica  - ha aggiunto Cohn - perché abbiamo i livelli adeguati di capitale, abbiamo i contatti giusti a livello di clientela e abbiamo la capacità di valutare le opportunità e di aiutare le banche europee a smobilizzare enormi fette dei loro bilanci in un modo relativamente efficiente». Il manager Usa ha concluso dicendo che Goldman potrebbe finire per guadagnare soldi nel caso di una rottura dell'euro. Chissà cosa ne pensa l'ex Goldman, Mario Monti? di Giuliano Zulin  

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