Mediobanca si riprende GeneraliSfiduciato Perissinotto
Il cda del Leone revoca l'incarico all'ad. Nominato Greco. Della Valle: mi dimetto dal cda
Generali decide il suo destino. Il consiglio di amministrazione delle Generali, che si è svolto oggi, sabato due giugno, ha sfiduciato, con una maggioranza di deici voti, Giovanni Perissinotto che da dieci anni ne rappresenta la indiscussa guida operativa. E' stata accolta la mozione di sfiducia implicita nella convocazione del cda in programma oggi, un cda fortemente voluto da Mediobanca primo azionista con il 13,4% del capitale. In sede sono stati visti arrivare, tra gli altri, il Ceo Perissinotto e i consiglieri Diego Della Valle, Paolo Scaroni, Clemente Rebecchini, Carlo Carraro, Alessandro Pedersoli, il vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone. Perissinotto, accompagnato da quattro collaboratori, si è fatto largo tra i cronisti assiepati davanti al palazzo, senza rilasciare dichiarazioni ("Scusate, ma dovrei entrare", si è limitato a dire). Perissinotto non ha rilasciato alcuna dichiarazione. Il Consiglio di Amministrazione di Generali ha deliberato "di proporre a Mario Greco la sua nomina a Direttore Generale e Group CEO, che avverrà previa sua cooptazione nel Consiglio di Amministrazione successivamente alla risoluzione del suo rapporto di lavoro con il gruppo Zurich". Lo scrive la società in una nota. Duro Della Valle Durissima la reazione del consigliere Diego Della Valle che ha annunciato che lunedì lascerà il consiglio di amministrazione di Generali. Lo ha detto lui stesso al termine della riunione che ha sancito la sfiducia all'ormai ex amministratore delegato Giovanni Perissinotto. "Non ero d'accordo -continua Della Valle - su ciò che si voleva fare nella forma e nella sostanza. Trovo che si poteva fare tutto molto meglio, preservando meglio l'immagine della società e soprattutto l'immagine del nostro Paese, che in questi momenti ha bisogno di attrarre investitori e non di preoccuparli". "Prendo atto -prosegue Della Valle- di chi ha deciso diversamente, questa è la democrazia. Io, non essendo d'accordo e l'ho detto anche ad alcuni miei amici del consiglio, lunedì manderò la mia lettera di dimissioni da consigliere. Tanti auguri per il lavoro che dovranno fare in futuro" Leggi l'articolo di Nino SunserI: Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di Generali, venderà cara la pelle. Lo ha scritto nella lettera spedita ai consiglieri che questa mattina, nella sede di Piazza Venezia a Roma, saranno chiamati a sfiduciarlo. Sono almeno undici, forse dodici su diciassette, quelli che gli voteranno contro. Una maggioranza che non consente sorprese. Tuttavia dovranno faticare per arrivare allo scopo. Perissinotto, infatti, non ha nessuna intenzione di dimettersi. Quindi dovranno licenziarlo. Ma prima dovranno leggere i dossier che presenterà mostrando gli intrecci d'affari che legano gli azionisti alla compagnia. Insomma è vero che il titolo ha avuto un andamento molto deludente (-45% in un anno) come sostengono gli organizzatori della rivolta (Mediobanca, Del Vecchio, Caltagirone e De Agostini). E' anche vero, però, che il fatto di essere azionisti importanti di Generali ha dato loro molti benefici. A cominciare dal più grande di tutti. Quella Mediobanca, guidata da Alberto Nagel che con grande severità chiede ora la testa del responsabile di Generali. Eppure, rileva la lettera inviata da Perissinotto ai consiglieri è proprio Piazzetta Cuccia a trarre enormi benefici dal conflitto d'interesse perenne in cui vive. A cominciare dal fatto che, essendo il primo socio di Generali è anche il consulente obbligato di tutte le iniziative di Trieste. Ma c'è di più, accusa Perissinotto: Nagel e Mediobanca sono registi di un'operazione, come la fusione tra Unipol e Fonsai, che certamente non facilita la vita alle Generali in quanto, anziché due concorrenti di media taglia, si troverà di fronte un colosso. Mediobanca in questo palcoscenico è ovunque: è banchiere (ha prestato più di un miliardo e mezzo alle due compagnie). E' consulente (ha organizzato l'operazione per conto dei bolognesi). Ma è anche nella partita del capitale avendo la famiglia Ligresti fra i soci. Certo un garbuglio noto tanto che anche l'Antitrust ha acceso un faro. La novità di Perissinotto è quella di averlo messo nero su bianco sostenendo, contemporaneamente, che l'equilibrio finanziario della fusione è precario. Unipol, infatti, è ben più piccola di Fonsai. Potrebbe fare la fine della rana della favola morta nel tentativo di trasformarsi in un bue. Un'affermazione che ha provocato la risentita risposta di Carlo Cimbri. In ogni caso il capo del Leone di Trieste nega di aver lavorato al sabotaggio dell'operazione. In Mediobanca, infatti, è forte il sospetto che dietro la cordata Arpe-Palladio ci sia una musa ispiratrice collocata a Trieste. Sia per far saltare l'operazione e insidiare la credibilità di Nagel. Sia per tenere separati i destini di Unipol e di Fondiaria. Nasce da qui l'offensiva per riprendersi il totale controllo di Generali? Come escluderlo. Certo il blitz ricorda i tempi della gestione Maranghi e Cuccia quando i presidenti e gli amministratori di Generali venivano liquidati dalla sera alla mattina in base agli interessi che maturavano in Mediobanca. Ne rimasero vittima Alfonso Desiata e Gianfranco Gutty. Per non parlare di Antoine Bernheim che, dopo il licenziamento, accusò Maranghi di averlo trattato come un «maggiordomo». Il vecchio patron della finanza francese ebbe poi modo di vendicarsi. Resta l'aggressività dei comportamenti: il mandato di Perissinotto scade alla fine dell'anno. Poteva essere sostituito senza traumi. Invece Piazzetta Cuccia punta a licenziarlo. Perchè? Non è ancora chiarissimo: il problema del calo delle quotazioni può preoccupare Del Vecchio, Caltagirone o De Agostini. Assai meno Mediobanca che, forte del suo 13%, a Trieste ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo. Così la dietrologia si scatena. A cominciare dai legami di Perissinotto con il finanziere ceco Petr Kellner. Quasi tenendo che l'uomo d'affari venuto dall'est possa diventare il referente di un nuovo gruppo di controllo in grado di condizionare le assemblee e il consiglio d'amministrazione. Condividere il potere a Trieste? uno sgarbo intollerabile a Piazzetta Cuccia.