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Bossi, Tremonti e il "Ponz"La cena degli ossi porta sfiga

Prima del banchiere anche il Senatùr e l'ex ministro dell'Economia sono usciti di scena.

Lucia Esposito
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  Forse il destino, era già nel nome: «La cena degli ossi». Un'immagine cimiteriale: inquietante come l'”Urlo” di Munch, livida come il “Settimo sigillo” di Ingmar Bergman. In ogni caso portarice di sfiga visto quanto accaduto ai partecipanti. L'ultimo, in ordine di tempo, a cadere Massimo Ponzellini ex presidente della Banca Popolare di Milano. Il «Ponz» da ieri è agli arresti domiciliari con l'accusa di essersi intascato una tangente di 5,7 milioni in cambio di un finanziamento di 148 milioni alle società di Francesco Corallo che si occupa di gioco d'azzardo.  Certo un destino amaro per il «Ponz». Alto, gioviale, gran mondano e frequentatore di salotti di potere e di chiacchiere. Una carriera fulminante che certamente ha sorpreso molti amici di gioventù a Bologna che lo consideravano troppo ricco e troppo viziato per lavorare. Ma evidentemente dotato di una sfrenata ambizione che le potenti amicizie di famiglie, hanno aiutato. Fino alla cena del 5 gennaio 2011 all'albergo della Ferrovia di Calalzo, nel Cadore. A tavola oltre al «Ponz»  il padrone di casa:  Umberto Bossi, che trascorreva le vacanze di Capodanno, insieme alla famiglia. Il Trota ora indagato come il padre. Il fedelissimo Roberto Calderoli, ormai con un piede fuori dalla Lega e l'altro in Procura. Aldo Brancher, ufficiale di collegamento fra la Lega e il Pdl, cerniera del centro-destra e per qualche ora anche ministro.  Ma soprattutto il super-ministro: Giulio Tremonti in quel momento all'apice della gloria. Abitava già nella casa pagata da Marco Milanese ma la tempesta, quella notte era lontana nel cielo delle Dolomiti. Le foto ritraggono i partecipanti al tavolo allegri e qualcuno anche un po' rubizzo.  Erano tutti molto importanti e molto influenti. A distanza di quindici mesi sono stati estromessi dalla ribalta politica. La gloria del mondo che scompare. Ma soprattutto premia gli assenti. A cominciare da Bobo Maroni che a quel genere di meeting non ha mai amato partecipare. Il «Ponz» sostenne di esserci capitato per caso. Un omaggio ai lontani ricordi dell'infanzia trascorsa nelle valli del Nord. Non amava definirsi leghista anche se Bossi, con la ruvida franchezza che lo distingue,  sosteneva che nel 2009 alla presidenza della Banca Popolare di Milano «ce l'abbiamo messo noi». Il passo iniziale verso il sogno: dopo la vittoria del 2008 il primo pensiero del Senatur era rivolto alle banche. Intesa e Unicredit, avendo fra i grandi azionisti le Fondazioni, sembravano a portata di mano. In realtà la Lega si è dovuta accontentare, e anche per poco tempo, della Bpm. Era riuscita a portare alla presidenza Massimo Ponzellini, il più trasversale dei banchieri italiani. Nato prodiano  era stato consigliere personale del Professore fra il '78 e il '79. Diventa direttore generale di Nomisma, il centro di ricerca economica fondato dal futuro presidente del consiglio.  Lo segue a  Roma diventando dirigente dell'Iri. Il distacco, a partire dal 1990, quando si trasferisce a Londra per occuparsi della Bei, Banca europea degli investimenti. Poi comincia l'avvicinamento a Giulio Tremonti che, nel 2003 lo nomina presidente della Patrimonio Spa.  Si tratta del primo tentativo di valorizzare la ricchezza immobiliare pubblica. La società guidata dal «Ponz» dovrebbe occuparsi della vendita del mattone di Stato. Sarà un clamoroso insuccesso che, tuttavia non intaccherà il rapporto con il super ministro nè la carriera. Nel 2007 «Ponz» diventa presidente di Impregilo, la più grande società italiana di costruzione (carica che detiene ancora). Nel 2009 la presidenza di Bpm, fino all'anno scorso. In mezzo la mazzetta di 5,7 milioni. Un passaggio che resta da capire. Per quale ragione il «Ponz» avrebbe incassato? Non ha bisogno soldi. Nelle vene gli scorrono quattro quarti di sangue alto-borghese. Il padre Giulio (a lungo membro del consiglio superiore della Banca d'Italia) e la madre Marisa Castelli hanno dato vita all'omonima “griffe” dell'arredamento italiano.  L'hanno sviluppata partendo un'azienda per la lavorazione del legno fondata da Cesare Castelli, papà della signora Marisa.  La moglie del «Ponz» è Maria Segafredo, erede dell'impero del caffè. Massimo a Londra negli anni '90 girava con Bentley e autista che provvedeva anche a portarlo ogni mattina dalla casa di Ascot agli uffici della Bei. In Italia si muove in Ferrari. Fa le riunioni sul suo maxi-yacht preferibilimente in rotta fra Napoli e Capri. «Fa baracca» con Piero Gnudi da quando erano bambini. Gioca a carte con Alberto Clò e con tutta la Bologna che conta da quando aveva i pantaloncini corti. Una vita di grande agiatezza. Chissà perchè, come gli direbbe  Vasco incontrandolo all'ombra delle Torri, l'ha fatta diventare anche spericolata. di Nino Sunseri  

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