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Onore a Rick Santorum ha mollato al momento giusto

Il candidato conservatore alla nomination repubblicana lascia strada libera a Mitt Romney. Ora il Gop è unito nella sfida a Obama

Matteo Legnani
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Rick Santorum, con la sua decisione di ritirarsi dalla corsa per la nomination repubblicana a inizio aprile, ha deluso molta gente, cioè tutti i Democratici. Non certo i repubblicani, e in generale quella metà dell'America che ha già comunque deciso di cacciare Obama dalla Casa Bianca, e che ha sempre giudicato Mitt Romney come il candidato dalle qualità complessivamente più solide per raggiungere lo scopo. Il gioco di andare contro Romney è durato fin troppo. E' vero che a soffiare sul fuoco del suo moderatismo, del suo non essere un conservatore puro e duro, del suo essere un ricco imprenditore-finanziere, sono stati commentatori sia di destra (i puristi che appoggiavano i “più conservatori” del lotto) sia di sinistra (ovviamente pro Obama), uniti nello sforzo dell'indebolimento della sua candidatura. Ma questa è la norma. Solo chi vive in costante malafede non ricorda, anzi finge di non ricordare, che il braccio di ferro tra Barack e Hillary Clinton, nel 2008, fu molto più sanguinoso della bagarre repubblicana di quest'anno. Hillary arrivò, alla fine, a vantare addirittura più voti popolari nelle primarie e perse nella corsa ai delegati soprattutto perché Obama si aggiudicò più Superdelegati (dirigenti di partito non eletti) e più delegati degli Stati dove si tengono i caucus, elezioni-assemblee che richiamano meno votanti “normali” e più “militanti” motivati da entusiasmo o radicalismo. Alla conta conclusiva, 2201 voti erano per Obama e 1896 per Hillary, ma tra i delegati eletti Obama superava Hillary solo per 1763 contro 1640. Quando oggi il GOP viene descritto come “partito diviso” viene da ridere, con Romney che ha circa il triplo dei delegati di Rick. La gara del 2008 tra i due Democratici si concluse soltanto a giugno, quasi tre mesi dopo l'attuale sfida nel GOP, e malgrado i toni degli attacchi reciproci fossero durissimi, sappiamo come finì: Obama diede ad Hillary la Segreteria di Stato, il posto di governo più importante, dopo la vicepresidenza. Certo, per Barack sarebbe stato molto meglio se Rick e Mitt avessero duellato fino all'estate. E sarebbe stato un sogno, per gli obamiani, poter andare a novembre contro Santorum, che del proprio radicalismo religioso ha fatto bandiera e che, grazie a questo suo “rigore”, ha vinto le primarie in 11 stati. Ma in America, pur numerosi ed influenti, gli evangelici cristiani ed i cattolici non possono da soli conquistare la maggioranza dei delegati del Gop, e così è stato. Il mormone, ex governatore del Massachusetts, ha tenuto la barra ben dritta sull'obiettivo finale nella ventina dei dibattiti in Tv con gli altri contendenti repubblicani. Forte della sua esperienza, della organizzazione sapientemente costruita in ogni Stato da quando perse le primarie del 2008 contro John McCain, delle sue credenziali di uomo d'affari capace di vincere la carica di governatore in uno Stato liberal, e di lavorare poi con il parlamento locale controllato dai democratici fino ad ottenere tagli di tasse, Mitt si è persino permesso il lusso rischioso di alcune gaffe. I media contrari a lui, e gli avversari diretti per ovvie ragioni, hanno fatto il possibile per usarle e contrastare la sua “inevitabilità”. Fa parte del gioco. Il meccanismo delle primarie è stato inventato come una selezione darwiniana proprio per permettere a ogni candidato di mostrare le debolezze degli altri, oltre che per vantare i propri punti forti. Il risultato è che, alla fine, il vincitore esce rafforzato dagli attacchi del “fuoco amico”, e può iniziare la guerra contro il nemico vero dell'altro partito. Romney ha via via eliminato la Michele Bachmann e Rick Perry (Tea Party) ed Herman Cain, dal passato donnaiolo impresentabile, per emergere poi come il leader indiscusso, capace di raccogliere entro inizio aprile quasi 700 dei 1144 delegati necessari alla nomination, nelle primarie contro Santorum, Newt Gingrich e Ron Paul. L'addio inatteso di Santorum è stato un atto di intelligenza politica da parte sua, perché l'ex senatore della Pennsylvania ha accumulato un capitale politico in questi mesi che rischiava di buttare via il 24 aprile, quando sono in calendario le primarie nel suo stesso Stato. Avesse perso in casa, dopo essere stato già battuto sonoramente nel 2006 in Pennsylvania quando cercò di riconquistare il seggio di senatore, sarebbe stata una umiliazione pesante. Così, invece, ha fatto ciò che l'establishment del GOP gli chiedeva da qualche mese: non insistere in una corsa impossibile, non costringere Romney a buttare via risorse finanziarie che verranno buone contro Obama, non ridurre i tempi della campagna del candidato repubblicano agli ultimi due mesi dopo la Convention d'agosto. di Glauco Maggi Da oggi è cominciata la campagna elettorale che conta, e Romney ha sette mesi davanti e un partito unito dietro di sé. E' vero che Gingrich e Paul hanno detto che continueranno nelle primarie, ma entrambi hanno anche già fatto capire che l'avversario reale è Obama e che sosterranno sicuramente Mitt a novembre. Glauco Maggi  

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