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Romney va a vele spiegate Rick e Newt tornino in porto

L'ex governatore del Massachussets ha già la metà dei delegati per la nomination. Santorum e Gingrich non facciano gli utili idioti di Obama

Matteo Legnani
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Facendo i conti dei delegati assegnati e che mancano per la nomination repubblicana, soltanto qualche fatto personale imprevedibile contro Mitt Romney darebbe ancora qualche speranza a Rick Santorum, per non parlare di Newt Gingrich e di Ron Paul, staccatissimi. Finora Romney ha oltre 560 delegati, la metà dei 1144 della maggioranza assoluta, mentre Santorum ne ha solo circa 250. Per quest'ultimo, il miraggio di racimolare i 900 che gli mancano si materializzerebbe nel caso riuscisse a mettersi in tasca il 74% dei candidati ancora in lizza. Chiaro che non può farcela, anche perché, stato dopo stato, il numero dei finanziatori che tifano per lui (e per gli altri due) si restringe. Buttare via i soldi per una battaglia senza speranza all'interno del partito, quando la guerra decisiva davvero andrà combattuta a novembre contro il Nemico Numero Uno, Obama, è una prospettiva che alletta sempre di meno anche i più ostinati, e più facoltosi, tra gli ultraconservatori che finora hanno pagato gli spot televisivi per Rick e Newt. Così, a parte il libertario Ron Paul,  che è sempre stato un “caso politico” ideologico,  stanno sempre più maturando due “casi umani”, che di politico hanno ormai poco, e quel poco è autodistruttivo. Degli otto partenti ufficiali per la corsa (per non parlare di quelli così inconsistenti da non essere neppure invitati ai dibattiti in Tv) gli altri quattro sono usciti dignitosamente dalla porta del realismo politico. Il donnaiolo Herman Cain avrà avuto i suoi guai in casa ma non ne ha creati al partito andandosene subito dopo lo scoppio degli scandali a sfondo sessuale che lo avevano investito. La deputata Michelle Bachmann, che pure resta la capa del Tea Party alla Camera di Washington, aveva mollato dopo aver letto i sondaggi e subìto i primissimi verdetti contrari. E così hanno fatto Tim Pawlenty, Jon Huntsman e Rick Perry. L'insistenza di Rick e di Newt nel non guardare in faccia la realtà dei risultati sul campo ha sempre più a che fare con l'ego dei due, che non con le pressioni a continuare che arrivano dalla fetta religiosa, ultraconservatrice del GOP. La quale è una legittima, ma ormai vistosamente minoritaria, componente del popolo di destra: nei sondaggi post voto di molti stati, Romney si aggiudica infatti quasi costantemente più favori anche nella fascia di iscritti al GOP che, sulla carta, non  dovrebbe amarlo. In realtà, la filastrocca del “Romney poco conservatore”, del “Partito Repubblicano che non lo accetta come leader”, della “ricerca dell'alternativa a Romney” è stata una chiave di lettura offerta agli inizi della campagna dai concorrenti interni al GOP (da Bachmann a Santorum, da Perry a Cain, da Paul a Gingrich) per evidente interesse personale. Ma faceva gioco anche a Obama, che da sempre ha pensato, e temuto, che fosse proprio Romney a spuntarla. Basta ricordare gli attacchi di David Axelrod, il suo consigliere strategico, che aveva bollato Romney quale “candidato del 25%”, perché era su quelle percentuali che si era attestato nei sondaggi prima delle primarie. L'obiettivo era di avvalorare l'idea di un GOP frantumato, e di un leader inefficace. Ora, dopo che Mitt ha vinto in Illinois, lo stato del presidente in carica, con quasi il 50%  del partito strabattendo Santorum (35%) e umiliando Paul (9%) e  Gingrich (ultimo con l'8%), per Obama è dura insistere sulla “debolezza” di Romney. Il quale, nel GOP, sta ormai mietendo appoggi dal quadro dirigente in proporzioni ancora più massicce di quelle nelle urne (dove ha comunque intascato 4,1 milioni di voti, contro i 2,8 di Rick) : con lui sono già ufficialmente una ottantina di parlamentari, e dopo i nomi nobili del partito di McCain e Bush padre è arrivata anche la benedizione di Jeb Bush, fratello di George e pezzo grosso del GOP della Florida, di cui è stato governatore. Insomma, a remare contro sono restati ormai solo Rick e Newt, schiavi di una notorietà che sta dando loro alla testa. Hanno ancora poco tempo per fare la scelta sensata di un ritiro che farebbe male ad Obama e bene alla loro reputazione. Se arrivano fino alla Convention puntando a mettere i bastoni tra le ruote di Mitt (ma scommetterei di no) passerebbero alla storia come gli utili idioti pro Barack. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi

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