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Mitt Romney arriva in Michigan... e trema

Oggi le primarie repubblicane, il grande favorito potrebbe non vincere in casa: la sorpresa Santorum però è in calo

Giulio Bucchi
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Nessuno poteva immaginare un mese fa che si sarebbe arrivati a ridosso della primaria del Michigan di martedì 28 febbraio con Mitt Romney a rischio di non vincere. Mitt è cresciuto nello Stato delle automobili, dove suo padre George è stato apprezzato governatore repubblicano, e dopo aver distrutto Newt Gingrich in Florida a fine gennaio la sua marcia sembrava inarrestabile. Invece è spuntato a sorpresa Rick Santorum, che ha centrato il 7 febbraio la tripletta in Colorado, Missouri e Minnesota, riaprendo i giochi. I sondaggi locali e nazionali, volatili peggio della Borsa, hanno visto da allora Rick e Mitt alternarsi in testa, e forse soltanto il dibattito televisivo di qualche giorno fa in Arizona (dove pure si vota martedì)  ha ridato una qualche fiducia a Romney, grazie alla povera performance di Santorum che ha visto messi a nudo i propri limiti una volta salito sul palco da “quasi” numero uno, come mai era successo prima. Infatti, in meno di 20 giorni le rilevazioni di Rasmussen per il Michigan hanno visto passare Santorum da un vantaggio del 15% su Romney ad avere un distacco di sei punti a poche ore dall'urna, e anche la media dei sondaggi tenuta da RealClearPolitics ora lo conferma (con Romney al 37,3% e Santorum al 35,8%). Una sconfitta casalinga a Detroit minerebbe senza dubbio la credibilità nazionale di Mitt, mentre se Rick non vincesse sarebbe uno stop al suo trend di rimonta e un ritorno della opinione pubblica alla “inevitabilità” di Romney.  Essendoci in lizza contemporaneamente anche l'Arizona, comunque, l'esito in Michigan non è in realtà l'ultima spiaggia per Mitt. Nello stato di John McCain, che lo appoggia pubblicamente, l'ex businessman ed ex governatore del Massachusetts ha avuto ieri l'importante sostegno della governatrice locale, Jan Brewer. La repubblicana è un leader iconico della linea dura del Gop sul tema della immigrazione, avendo  firmato la prima legge nel Paese che impegna la polizia locale a individuare i clandestini e avviarne la deportazione. Obama ha portato in tribunale l'Arizona per dichiarare illegale questa misura, e i due si sono trattati acidamente, davanti alle tv, qualche giorno fa quando il presidente è arrivato in un aeroporto dell'Arizona per una visita finalizzata alla raccolta di fondi ed è stato accolto, come da etichetta, dalla Brewer. La quale, giorni dopo, ha snobbato una cena dei governatori organizzata dalla Casa Bianca. Avere al suo fianco la governatrice che guida di fatto la campagna contro gli irregolari non può che rafforzare lo status da conservatore di Romney, cosa di cui ha assoluto bisogno per conquistare il cuore, e i voti, dei Tea Party.  I sondaggi in Arizona pare che sia al sicuro da brutte sorprese. La media lo dà davanti di 13 punti, a 41,4% contro il 28,2% di Santorum, il 17,8% di Gingrich e il 9,2% di Ron Paul. Sul fronte delle minoranze, intanto, Obama è sceso in campo con una iniziativa che punta a blindare il suo elettorato etnico: ha dato il suo benestare, infatti, a un gruppo chiamato “Afro-American pro Obama”, idea che se avesse un corrispettivo in Romney, Paul o Gingrich che organizzassero “Bianchi pro…” verrebbe bollata come razzista dalla stampa liberal. L'iniziativa di Barack, peraltro, rivolta ad una categoria che ha votato per lui con un tasso del 95% nel 2008, non punta tanto a convincerli quanto a farli andare fisicamente a votare. I neri che potrebbero passare con il GOP sono mosche bianche e statisticamente irrilevanti, ma se cala l'entusiasmo che li portò quasi tutti ai seggi, e cedono all'assenteismo, per Obama la perdita di consensi conterebbe eccome. di Glauco Maggi twitter @glaucomaggi

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