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La mossa di Romney: cala l'asso della riforma fiscale

Il confronto sulle tasse è la chiave per entrare alla Casa Bianca: Mitt mette sul tavolo le sue idee. E lo fa in modo egregio

Andrea Tempestini
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Mitt Romney ha calato l'asso di una riforma fiscale con i fiocchi, ovviamente dal punto di vista conservatore, proprio nel giorno in cui ha vinto il confronto televisivo con Santorum, l'ultimo prima delle elezioni del GOP in Michigan e in Arizona della settimana ventura. Finora Romney aveva presentato una lista di 59 idee economiche, in un programma articolato fin troppo e che non aveva fatto breccia nel pubblico, e neppure nella intellighenzia liberista degli editorialisti del Wall Street Journal che hanno un ruolo informale ma autorevole di "saggi" in questo campo. Ieri, con l'aggiunta del sessantesimo capitolo, l'ex governatore del Massachusetts ha finalmente messo sul tavolo le tasse, e in modo egregio e difendibile nei dibattiti a venire, sia per la nomination e sia, dopo, contro il "tassa e spendi" Barack. Il piano di Mitt poggia su tre punti. Il primo è una uguale riduzione del 20% di tutte le aliquote sui redditi che esistono oggi nella griglia per le persone fisiche: l'attuale 35% (che salirebbe al 41% nel 2013 nelle intenzioni di Obama, considerando la estinzione dei tagli fiscali di Bush prevista per fine 2012) diventerebbe il 28%, nuova aliquota massima. A seguire, il 33% di oggi calerebbe al 26,4%; il 28% al 22,4%; il 25% al 20%; il 15% al 12%; il 10% all'8%. Secondo gli economisti free market Greg Mankiw e Glenn Hubbard, consiglieri di Romney, ed anche per Martin Feldstein di Harvard e altri studiosi della Scuola di Chicago di Milton Friedman, applicare le riduzioni fiscali ai margini superiori, come è nella proposta di Mitt, è la via che incentiva di più la gente a lavorare e a investire. Lo dimostrano tanti studi che hanno messo a confronto l'efficacia sulla vitalità economica di questo tipo di riduzioni per tutti, rispetto ai crediti fiscali (per esempio quelli concessi a chi ha dei figli, come è la proposta di Santorum) o i temporanei sconti di tasse (come quella sventolata da Obama due giorni fa sul prolungamento del taglio dal 6% al 4% dei contributi previdenziali in busta paga per i dipendenti). "Il mio taglio riduce la tassa sui soldi guadagnati in più da tutti i lavoratori. E riduce le aliquote di imposta per molti professionisti e piccoli imprenditori che pagano le tasse secondo le aliquote personali invece della corporate tax, e impiegano la maggioranza dei lavoratori americani nel settore privato", ha scritto Romney in un articolo sul WSJ. Secondo dati della Agenzia delle Entrate Usa (IRS) le entità imprenditoriali "non corporate" pesano infatti per oltre il 50% sul totale ammontare dei redditi. E' per questo che l'idea di Obama di colpire di più i "ricchi", intendendo i singoli che guadagnano oltre 200 mila dollari, è in realtà un assalto soprattutto alla miriade di business minori (sono circa una trentina di milioni le persone-società secondo l'IRS), anima della piccola imprenditorialità che crea milioni di posti di lavoro. La seconda idea di Mitt è ridurre al 25% la tassa sui profitti aziendali, ora al 35% e tra le più alte al mondo, e rendere permanenti i crediti fiscali sulla ricerca e lo sviluppo. La terza, infine, è il mantenimento al 15% della imposta sui capital gains e sugli interessi e i divendendi. Obama, invece, "punta ad alzare del 60% la tassa sul capital gain e a triplicare quella sui dividendi", ha calcolato il WSJ. Se si comprende la corporate tax, che grava sugli utili aziendali prima che si proceda alla distribuzione dei dividendi, attualmente il carico sui dividendi per gli azionisti è già attorno al 45%. "Secondo le diverse proposte fiscali di Obama il fardello sarebbe vicino al 58%", conclude il WSJ. Il confronto sulle tasse, in una economia ancora in cerca di una seria ripresa, sarà la chiave per entrare alla Casa Bianca. di Glauco Maggi Twitter@glaucomaggi

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