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Fra duemila anni il Paese cambierà

Mattias Mainiero risponde a Marco Agnoletti

Mattias Mainiero
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  Mi sono laureato, lavorando, in un corso di laurea ad indirizzo sanitario a 44 anni, ho preso la laurea magistrale a 49. Sono doppiamente sfigato? Certo che se una frase del genere fosse stata pronunciata da un ministro del governo Berlusconi, forse sarebbero scoppiati tumulti con le barricate ovunque. Marco Agnoletti e.mail Gentile dottor Agnoletti, ovviamente lei non è doppiamente sfigato e neppure sfigato una singola volta: lavorava, studiava, forse faceva i salti mortali per conciliare le due cose, guadagnava e spendeva e andava avanti. Immagino che, avendo raggiunto quasi il mezzo secolo di vita prima di laurearsi, durante i suoi anni studenteschi abbia fatto moltissimo. E questo lo so io e lo sa il viceministro Martone. Naturalmente, lo sa anche lei e lo sanno tutti i lettori. Però dobbiamo sapere anche un'altra cosa: questo Paese deve cambiare, e se dichiarazioni come quelle del viceministro aiutano a cambiarlo ben vengano anche queste dichiarazioni che poco si conciliano con la sobrietà montiana. All'estero, i giovani si laureano, in media, a 24 anni di età. Perché è questa l'età giusta, perché non si può essere studenti a vita, perché le cose, tutte le cose, devono avere un inizio e una fine, un capo e una coda. E perché, passata una certa età, un giovane che non lavora, che non è affetto da gravi malattie, che non è vittima di esaurimenti nervosi e che non è riuscito a laurearsi deve ficcarsi una cosa in testa: lo studio non è fatto per lui. Si laureerà, quel giovane, ma sarà (salvo eccezioni) un pessimo medico o ingegnere o architetto o avvocato dopo essere stato un pessimo studente. E noi abbiamo bisogno di buoni medici e avvocati e ingegneri e architetti, non di mezzecalzette che per laurearsi impiegano il doppio del tempo necessario e per fare un'operazione chirurgia impiegheranno tre o quattro mesi, con il paziente che morirà di vecchiaia prima ancora che di peritonite, la garza che sarà dimenticata nell'addome e il professor dottore che continuerà a disseminare guai in giro. Abbiamo bisogno di un Paese diverso, appunto: più veloce, più moderno, più fattivo. Un Paese con le carte in regola, a partire dalle carte universitarie. E allora mi dica lei: se un giovane per laurearsi impiega dieci e passa anni, quando impiegheremo noi per cambiare questo Paese e renderlo migliore, duemila anni? [email protected] Caro Mainiero lasciamo per un attimo da parte i muli, Keynes, i liberisti e proviamo ad immaginare che tutta la presunta evasione di 120 miliardi di euro all'anno entri nelle casse dello Stato. 1) Occorreranno 20 anni per estinguere i 1900 e più miliardi di debito. 2) Per non diminuire ulteriormente la spesa sociale e continuando con  gli attuali costi della politica occorre che tutti gli italiani per tutto quel tempo  sopportino  l'attuale pressione fiscale fino al 70% e passa secondo la capacità contributiva di ognuno. 3) Sempre per almeno venti anni non si facciano investimenti e soprattutto i "cordoni della borsa"  siano gestiti da un Tremonti saldamente all'economia. Pensa che sia possibile tutto ciò e riesce ancora a credere che tanto disastro l'abbiano provocato gli evasori?Mario C. e.mail 1) E dove sta scritto che il debito pubblico debba ridursi a zero? Oltretutto, ciò che conta non è il valore assoluto ma la percentuale rispetto al Pil. E la speranza, ovviamente, è che il Pil aumenti. 2) Ovviamente il disastro non è stato provocato solo dagli evasori. Gli evasori, però, hanno validamente contribuito. Egregio Signor Mainiero, pagare le tasse in un paese di diritto, democratico e liberale è ovviamente giusto. Dubito che se, in Italia, tutti pagassero con le percentuali che conosciamo sistemeremmo il "loro" deficit statale. Un suo collega, caro Signor Mainiero, in una trasmissione televisiva disse che dare dei soldi in più ai nostri politici è come dare i soldi ad un drogato che li brucerebbe in droga continuando a chiedere sempre di più. E poi. Come ci sono delle leggi che puniscono chi evade ci dovrebbero essere delle leggi che puniscano chi sperpera il denaro pubblico. Uno stato degno di questo nome deve essere credibile e solo dopo prendersela con gli eventuali evasori, che poi sono solo la conseguenza e non la causa di uno Stato che non funziona, per non dire altro. Ammesso e non concesso che questo Stato riesca ad eliminare tutta l'evasione fiscale, l'economia di questa povera Italia crollerebbe. Morale: in uno Stato come questo è anche il "nero" che da un po' di benessere.Renzo Scalmato e.mail In uno Stato come questo. Appunto. Ecco perché bisogna cambiare questo Stato. Nel frattempo, bisogna anche farlo sopravvivere, non sprofondare nella recessione e non dichiarare fallimento. E questo si ottiene con le necessarie riforme e anche lottando l'evasione, nella speranza che, con uno Stato migliore e con i conti in regola, finalmente diminuisca il carico fiscale. Gentilissimo Dottor Mainiero, poiché lauree conseguite presso diverse Università non garantiscono una uguale preparazione, si è proposto di abolirne il valore legale del titolo di studio. Si cadrebbe però dalla padella nella brace, perché, a prescindere dal titolo conseguito, sarebbe comunque necessaria una valutazione della preparazione dei professionisti, che invece di essere fatta in Università sarebbe fatta altrove, e non necessariamente con maggiori garanzie di serietà. Meglio, a mio avviso, istituire due percorsi di studio paralleli: uno altamente selettivo (sull'esempio della Scuola Normale di Pisa o dello Iuss di Pavia) e dove la selezione è condotta con i criteri più adeguati, verificati e controllati, che porti a un titolo ufficialmente riconosciuto come superiore, e uno come l'attuale, per chi non superi la selezione o non aspiri a superarla, e che porti a un titolo del valore di quello attuale. Ciò consentirebbe una selezione giusta, meritocratica e alla luce del sole ed eviterebbe la selezione ingiusta e rovinosa che avviene ora invece all'insegna di parentopoli, amicopoli e politicopoli.Omar Valentini Salò (Brescia) Chi in questi giorni sta affermando che per dare una spinta al Paese serva estendere internet veloce a tutto il territorio e magari farla diventare superveloce dimostra di non aver capito nulla di come funzionano le amministrazioni, sia pubbliche che private. Dimostra piuttosto di voler trovare nella non completa diffusione della banda larga un alibi per giustificare inefficienze di ogni tipo. Il collo di bottiglia non è infatti la banda ristretta tra utente e amministrazioni ma il fatto che una volta che i dati sono arrivati a destinazione lì ci rimangono fino a fare la muffa perché il funzionario deve mettere la fatidica firma. La banda larga serve per vedere i film, per telefonare, per ascoltare musica. Non serve a nulla per compilare un questionario, dove a massimo la mole di dati scambiati arriva a 100 kB, trasferibili in poco tempo anche con il vecchio modem analogico a 56 kb, una tecnologia degli anni '80. Un esempio su tutti: mi sono ritrovato un sinistro che mi ha fatto retrocedere nella categoria bonus/malus, la mia assicurazione (online, sicuramente connessa alla rete a banda larga) mi invita a mandare un fax, documento che non ha nulla a che fare con internet, e mi dice che per capire se il sinistro che la controparte ha liquidato a mia insaputa grazie all'indennizzo diretto sia avvenuto o no può essere necessario attendere anche un anno.Randall J. Wilkins e.mail  

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