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Howe senza GiochiIl destino tristedell'ex predestinato

Niente qualificazione nei 200 e nel lungo. Ma meritava una deroga

Nicoletta Orlandi Posti
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Andrew Howe Besozzi ha 27 anni, un talento naturale per la velocità e la sfiga che lo rincorre. Veloce pure lei, tanto rapida che troppo spesso lo raggiunge e lo sgambetta, che sia un problema muscolare, un tendine che salta, un piede che si gonfia. Andrew - che è il simbolo dell'atletica italiana, il più famoso, il più simpatico, il più forte, l'Usain Bolt (ovvio, con le dovute proporzioni tecniche e di cronometro) azzurro - però è un che non molla e ogni volta abbassa la testa, riparte da zero tra sofferenze, sudore e palestre e alla fine ce la fa: si ripresenta con il sorriso e la voglia di riscattare e riscattarsi, via con il vento in faccia. L'ha fatto ancora e a questo giro avrebbe meritato più rispetto, anche solo perché l'ennesima  rinascita è un insegnamento. L'infortunio e il vento - Andrew Howe Besozzi domenica, tornato in pista a quasi un anno dall'ultimo gravissimo infortunio (il 27 luglio 2011, in allenamento, si è procurato la rottura subtotale del tendine di Achille sinistro, già operato l'anno precedente in Finlandia) ha corso negli Assoluti di Bressanone, ultima occasione per stabilire il tempo adatto per andare alle Olimpiadi di Londra. L'atleta di Rieti, secondo i criteri stabiliti dalla Fidal, avrebbe dovuto correre i 200 in 20”65. Ci ha provato due volte, ma senza fortuna. In batteria, frenato da un muro di vento (-4.5 m/s), si è fermato a 21”03 e in finale - due ore più tardi - ha vinto (condizioni ambientali ancora sfavorevoli: -1.9) con il tempo di 20”76, che non vale la qualificazione ma che - gli esperti di atletica lo sanno bene - senza brezza contraria equivarrebbe a meno di 20”65. Risultato, Andrew è stato escluso, non parteciperà alle Olimpiadi ed è una beffa, uno smacco. Un'umiliazione.  La deroga e le ripicche - Già, i regolamenti sono regolamenti. Ma proprio perché stiamo parlando del miglior campione italiano del momento e del simbolo dell'atletica azzurra, mai come in questo caso sarebbe stato opportuno concedere una deroga ad un ragazzo che ha investito un anno intero per recuperare dopo il grave infortunio. E ci è riuscito. Anche perché, in realtà, Howe aveva già ottenuto il tempo minimo per gli standard dell'Iaaf (20”21, ma la federazione italiana ha imposto a tutti gli atleti una conferma nell'anno olimpico) nel 2011 e dunque nulla avrebbe impedito l'iscrizione ai Giochi. Niente Olimpiadi nei 200 metri, niente Olimpiadi nemmeno nella 4x100 («Offro la mia disponibilità per la staffetta - ha detto il velocista subito dopo la finale - e se mi verrà concesso di correre pure i 200, sono certo che potrò arrivare intorno a 20”30»). Andrew ha dovuto sopportare un altro colpo basso: per la 4x100 sono stati convocati Diego Marani e Davide Manenti, che sono arrivati alle sue spalle. «Howe, per poter far parte del gruppo della 4x100 - ha spiegato il d.t. Francesco Uguagliati, dopo aver comunicato l'esclusione d'accordo con il Coni - da qui ai Giochi, come gli altri, avrebbe dovuto partecipare a due raduni a Formia e al test di Montecarlo di venerdì 20. Tramite Fabrizio Leoni, responsabile della sua Aeronautica, sentite le condizioni, ha rinunciato». L'impressione - in questa complessa e poco chiara situazione - è che il problema, più che tecnico, sia politico e di rapporti e non sono in pochi a pensare che se Andrew, anziché farsi allenare dalla madre Renée Felton, fosse seguito da qualche altro tecnico più vicino alla federazione avrebbe vita più facile. La sconfitta dell'atletica - Senza Howe alle Olimpiadi, a perderci, sarà tutta l'atletica azzurra. E non solo perché non ci sarà il simbolo di tutto il movimento e il miglior talento italiano (campione europeo di salto in lungo nel 2006, vicecampione mondiale nel 2007 e detentore del record italiano con 8.47). Soprattutto, perché si è persa l'occasione per premiare chi è un esempio e sa sempre rialzarsi. Anche quando viene sgambettato dalla sfiga. di Alessandro Dell'Orto

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