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Su di lui la profezia letteraria: abiure, fughe sub e l'amore per Tilly(ani)

Joseph Roth già un secolo fa raccontava la storia di Gianfranco: tra valori rinnegati e il tramonto di un'epoca

Andrea Tempestini
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di Gianluca Veneziani La vera storia di Fini l'ha narrata, con grande anticipo, Joseph Roth, scrittore austriaco vissuto a cavallo tra '800 e '900. Nel racconto Lo specchio cieco, pubblicato per la prima volta nel 1925, e ora ristampato da Editori Riuniti (pp. 240, euro 9,90) e distribuito anche dal Sole 24 Ore nella sua collana domenicale, Roth mette in scena la vicenda di Fini, una ragazzetta vissuta negli anni del tramonto dell'Impero austro-ungarico, che si trova ad affrontare il difficile passaggio all'età adulta.  Come un altro Fini, nato un trentennio dopo, l'eroina del libro di Roth nasce idealista e sognatrice, piena di speranze e di giovanili aneliti. Ma poi, diventata grande, forse per amore, forse per il clima storico cambiato, rinnega tutto quello in cui ha creduto. Il mondo, cioè la gloriosa dinastia asburgica, le crolla attorno, ma Fini non vede altra soluzione che abbandonare i valori della  gioventù. «Fini già viveva in un altro mondo e aveva dimenticato e sepolto le dolci sciocchezze dei suoi giovani anni. [...] era ancora più sola, più insignificante».  All'inizio Fini soffre per la verginità perduta, avendo smarrito, a un tempo, il passato, gli amici e il candore di una volta. «Fini piangeva e si vergognava di piangere, e piangeva perché doveva rinnegare il valore di ciò che era perduto». Poi però non può far altro che constatare la sua solitudine, la beffa di sentirsi rifiutata e inascoltata. «Fini non aveva più nessuno con cui poter parlare. [...] Nessuno al mondo capiva cosa aveva perduto Fini». L'unica persona con cui la bambina ormai cresciuta riesce a comunicare ancora è l'amica Tilly, o forse Tully(ani), una ragazza con «i seni grossi» che si vedono «chiaramente sotto gli abiti». Verso di lei Fini nutre una sorta di attrazione, tanto che, pensandola, «Fini palpò il proprio corpo, intuì lo slancio incipiente delle anche e la fresca rotondità del proprio ginocchio». Ma, allo stesso tempo, Fini le si rivolge come una confidente, cui manifestare i propri stati d'animo, pensando ai propri guai e consolandosi guardandola. «Ho una brutta cera - disse Fini, misurando con gli occhi i seni di Tilly che tremavano sotto la camicetta sottile» .  Quella confidenza sembra dimostrare che Fini, diventata finalmente uomo, pardon donna, non se la passa proprio bene. E invece, nel pieno dello sfacelo, mentre il passato è perso e il futuro è fosco, la bimbetta Fini sembra fregarsene dell'epoca che tramonta e, incosciente, si ritira in privato, a sollazzarsi durante la bella stagione. «L'estate passò dolce e calda. Fini passava estranea accanto ai grandi avvenimenti, piccola ed estranea». A chi l'avesse rimproverata per quel disinteresse, avrebbe risposto con poche parole, lavandosi le mani: «Le preoccupazioni del grande mondo sono troppo pesanti per noi». Nel suo buen retiro estivo Fini non era mica sola. «Venivano amici a trovarla, uomini temerari». Chissà che non fossero agenti della scorta, cui erano state affittate stanze d'albergo per due mesi. Ma anche quel rifugio beato, al riparo dagli occhi indiscreti e dai problemi dell'epoca, era destinato a essere scovato. «Una volta una lettera raggiunse Fini, si era scoperto il suo nascondiglio». Che ingenua Fini, beccata in flagrante durante le vacanze. Forse per rabbia, per dimostrare la sua innocenza e per convincere di avere speso solo soldi suoi, «Fini gettò le banconote, riflettendo incessantemente». A quel punto, in un colpo solo, si erano spezzati in lei i sogni di un avvenire radioso e di una crescita indipendente. Fini, oltre al passato, aveva perso il futuro e la libertà. Anche se ai pochi intimi diceva di credere ancora a Futuro e Libertà. «Fini si alzò come un giovane uccello che cerca di volare, e quando fece il primo passo tornarono i pensieri: le preoccupazioni rapide e nere, le brutte miserie sguscianti, le minacce del domani e del dopodomani».  A Fini, che ambiva ad andare avanti e a procedere verso l'alto, non restò che calarsi in basso, tuffandosi nell'acqua come un sub. Magari cercava un àncora incrostata da esibire o una ragione per potersi dare forza: ancòra, ancòra, Fini, resisti; oppure il suo era un tentativo estremo di inabissarsi, dal momento che si era resa conto, la piccola Fini non ancora diventata grande, che almeno sulla Terra più in basso di così non poteva andare. «Fini sembrava di andare lontano e in alto, sempre più in alto [...] aveva voluto andare in cielo ed era caduta in acqua». Era la fine. Ma Fini sarebbe sopravvissuta, trovando un alter ego per sostituirla: era il dottor Fin-kelstein, pare più gradito alla Germania e alla sua Cancelliera. «I miracoli non finivano. Venne un uomo, prima del dottor Finkelstein [...], in cancelleria. Cauto prese il braccio di Fini, mentre esortava alla prudenza per tutte le occasioni future». Alcuni maligni sospettano che il suo nome vero fosse Fin Gianfrankelstein...

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