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Mughini: "Il senso dei cretini per Twitter"

Milioni di persone ossessionate dalle 140 battute: troppi cinguettii volgari e poche verità aguzze

Nicoletta Orlandi Posti
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  di Giampiero Mughini Secondo voi che mi state leggendo, sì o no l'uso smodato di una rete di comunicazione straveloce come Twitter rende più cretini quelli che ci passano delle ore ogni giorno, siano essi dei ventenni acerbi o dei quarantenni giunti alla metà del proprio cammino? Sì o no rende più cretini il fatto che nelle cronache giornalistiche sia ossessivo il riferimento alle tracce e agli esempi di quella comunicazione, e questo anche quando sono in gioco questioni complesse e contraddittorie della vita odierna? Possibile che siano così tanti ad avere la voglia e il tempo di sfoggiare tutto quanto attiene al proprio ombelico, capitolo fondamentale del gran rumore massmediatico prodotto da Twitter? E infine sì o no siamo giunti a un punto della nostra storia civile e culturale che il silenzio sarebbe d'oro se raffrontato a questo immane circo fatto di smargiassate, polemiche belluine, luoghi comuni a strafottere di cui si vantano le opposte fazioni in campo? No, io non sono iscritto a Twitter né mai me n'è venuto il benché minimo desiderio. Mi trovo nella stessa condizione in cui mi trovavo un tempo quando mi chiamavano (e mi pagavano) in tv a parlare del «Grande fratello» di cui mai avevo visto cinque minuti. Epperò non c'era bisogno di gran tempo a capire - e tanto per fare un esempio - che di quel gran cumulo di sciacquetti e sciacquette che bramavano farsi notare, un personaggio vero e reale c'era e lo ricordo qui con commozione: il personaggio che rispondeva al nome di Pietro Taricone. E difatti lo difesi in una puntata del «Maurizio Costanzo show» mentre una giornalista d'assalto gli stava andando contro a forza di banalità politicamente corrette. Non sono iscritto a Twitter, ma nessuno può sottrarsi al rumore di fondo che viene da quel social network. Se un Enrico Berlinguer - poco meno di quarant'anni fa - ci metteva 60 o 70 cartelle a spiegare quali fossero i suoi intenti politici di lunga scadenza, un politico di oggi mette becco sull'una o sull'altra questione essenziale con un suo mirabolante messaggio di 140 battute, messaggio di cui i giornalisti politici danno conto allo stesso modo in cui noi trentenni di allora ci riferivamo all'ultimo libro di Giorgio Amendola o di Norberto Bobbio: ossia come a documenti capitali. Non che in 140 battute non si possano dire verità aguzze e formidabili. Karl Kraus lo faceva più volte in ciascuno di quei giornali che confezionava da solo. Solo che non tutti sono Karl Kraus, soprattutto nessuno di quelli che credono di esserlo. Vale la pena che a ogni minuto vengano fuori milioni e milioni di questi messaggini da 140 battute? Sì o no la grandissima parte di quello che è venuto fuori su Twitter in occasione della tragica vicenda legata al nome del marciatore italiano Alex Schwazer era ributtante sadismo nei confronti di un eroe caduto? Mi direte che Twitter è un campo di battaglia dove si esibiscono i tipi più diversi e le opinioni più diverse, e che di messaggi di 140 battute che mostravano di capire a fondo la tragedia di quell'atleta improvvisamente divenuto vulnerabile ce n'erano a iosa, e che questa è la forza e l'attualità di Twitter. E su questo punto vi do ragione. È buono un mondo dove ciascuno può dire la sua anche se non è un editorialista di un grande quotidiano. È il mondo in cui viviamo. Solo che una cosa è dire la propria, altra cosa lo sparare nel modo più perentorio e volgare la propria verità da due soldi. E qui Twitter è un terreno scivoloso, dove in moltissimi hanno la libidine di scivolare. In quel social network più bestemmi e più hai la voce roca e più ti fai notare. Per passare dalla farsa alla tragedia è un po' quel che è successo alle tre ragazze punk russe condannate a due anni di prigione dura per avere fatto un bordello inumano in una cattedrale di Mosca. Sull'argomento ho idee diverse da quelle di Maria Giovanna Maglie, e tuttavia avevo letto con interesse il suo articolo su Libero. Appunto, è sottile il confine tra la bestemmia e la provocazione: solo che una cosa sono le bestemmie e altra la provocazione. Che esista questo confine la Maglie aveva ragionissima a sostenerlo, e beninteso dopo aver detto chiarissimamente che la punizione adeguata di quelle bestemmie sarebbe stata una multa e finirla lì. E perciò sono rimasto di stucco quando ho trovato domenica scorsa sul Fatto (un quotidiano che leggo sempre con piacere) un riquadro polemico in cui si diceva che Libero «esultava» per la condanna delle ragazze. Inumana idiozia e inumana volgarità. Tutto della straveloce comunicazione moderna è un meccanismo che attira la volgarità tanto quanto il miele attira le mosche. Appena puoi, colpisci l'avversario sotto la cintura. Ho letto con stupore la polemica innestata da Gianni Rondolino contro il direttore della StampaMario Calabresi, polemica in cui i messaggi su Twitter avevano la parte del leone. Il tutto nasceva - com'è cento volte su cento nelle polemiche tra giornalisti - da un fatto personale. Calabresi aveva rozzamente congedato Rondolino dal novero dei collaboratori del quotidiano torinese. Appena ha potuto, Rondolino ha cercato la vendetta e ha condito quella vendetta con rozzi riferimenti alla morte del commissario Luigi Calabresi (padre del direttore della Stampa). Roba da mettersi le mani nei capelli mentre la leggevi, e a speziare di ulteriore orrore il tutto ecco che su Twitter scendono in campo alcuni giornalisti della Stampa a difendere il loro direttore. Dei veri eroi. Tutto questo in una polemica di bassa lega dove il silenzio sarebbe stato oro. Oro, platino. Tutto fuorché dei rozzi messaggi di 140 battute che rischiano di ingrossare il numero già cospicuo dei cretini a pieno tempo.    

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