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Un referendum per dire no all'euro:chi lo vuole, dalla Germania a Grillo

Sempre più forte la voce degli euroscettici: liberali e alcuni Cdu premono, più peso ai popoli e meno ai burocrati di Bruxelles

Giulio Bucchi
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Un referendum per dire no all'euro e demolire l'Europa unita. Dai liberali tedeschi a frange del Pdl italiano, passando per i partiti localisti come la Lega o quelli "anti-sistema" tipo Beppe Grillo e Movimento 5 Stelle, il malumore contro la moneta unica è sempre più evidente e potrebbe portare presto frutti amarissimi per gli europeisti convinti. Contro le politiche accentratrici dei burocrati di Bruxelles e Strasburgo in tanti, da tempo, invocano una consultazione popolare. I più combattivi naturalmente sono i partiti populisti, soprattutto in Austria, Svezia e Finlandia. Negli ultimi mesi, i segnali di euroscetticismo sono palesi, sinistri scricchiolii alle fondamente di un progetto mai troppo solido. Al di là della Danimarca, che già nel 2000 decise di non aderire all'unione monetaria restando legata alla corona (votarono in tal senso il 53% degli elettori), l'idea del referendum ha fatto breccia un po' ovunque. Il 31 maggio scorso l'Irlanda ha votato la ratifica del fiscal compact: i toni erano quelli di una decisione sulla permanenza o meno nell'euro. Vinsero i sì con il 60,3%, non un vantaggio così clamoroso per uno stato in bancarotta legato agli aiuti dell'Unione europea e della Bce. Proprio questo punto, i salvataggi degli stati a rischio default, mette in crisi la Germania: liberali e alcuni esponenti della Cdu vorrebbero far votare i tedeschi prima che Corte costituzionale e parlamento dicano sì al coinvolgimento di Berlino agli aiuti economici ai partner Ue. E proprio il paese più in difficoltà, la Grecia, nel novembre 2011 nel bel mezzo della crisi e della manovra-salasso che ha messo il paese in ginocchio sotto la scure della Trojka europea lanciò la proposta di un referendum popolare per dire sì o no ai sacrifici imposti da Bruxelles. Lo propose il premier socialista Papandreou, che quell'accordo lo accettò controvoglia. Il referendum, in qualche modo, arrivò: fu la sfiducia in parlamento con ritorno alle urne anticipate, una doppia drammatica tornata dal quale uscì vincitore Samaras, ma con i partiti euroscettici come la sinistra radicale di Syriza di Alexis Tsipras mai così forti.

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