La resa di Fini
Il presidente della Camera prima sputa veleno contro Libero, poi ammette di godere di privilegi e chiede al ministro di levarglieli
di Maurizio Belpietro È noto che i vizi crescono con l'età, radicandosi nel tempo fino a divenire inestirpabili. Nel caso di Gianfranco Fini trent'anni trascorsi fra potere e poltrone hanno lasciato un segno profondo, facendo aumentare l'ego e l'arroganza del politico di mezza tacca, il quale, invece di ringraziare ogni giorno il Signore per la fortuna che gli è capitata e che gli ha consentito di ricoprire incarichi di alto rango, dà sfogo alla sua sconfinata impudenza. La conseguenza è che invece di chiedere scusa agli italiani per lo spreco di denaro pubblico che le sue vacanze hanno provocato alle casse dello Stato, il presidente della Camera lancia minacce e insulta chi ha svelato lo spreco. Lo ha fatto anche ieri, in una lettera a Repubblica, in cui, bontà sua, invita il ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, ad abolire i privilegi di cui egli gode, modificando le disposizioni che regolano l'organizzazione della propria scorta. Prima di arrivare alla concessione, riconoscendo implicitamente che fino a oggi per lui è stato sperperato denaro degli italiani, Fini però ci accusa. La nostra colpa? Essere pagati per il lavoro che facciamo. Non ci sfugge ovviamente il significato del riferimento: secondo il presidente della Camera colpiremmo lui in quanto avversario politico di Silvio Berlusconi. Un ragionamento che evidenzia come l'ego viziato dell'ex gerarchetto possa giocare brutti scherzi. Da quando in qua uno che ha il 2 per cento dei voti può essere considerato un avversario? Forse Fini lo è stato in passato, quando aveva il ditino alzato e, forte del potere di ricatto datogli dal suo incarico istituzionale, poteva tenere in scacco il governo. Ma oggi Berlusconi non è a Palazzo Chigi e l'inquilino di Montecitorio non conta più nulla. La sua stagione è agli sgoccioli e quando dovrà lasciare lo scranno, causa elezioni, faticherà a trovarne un altro che soddisfi l'alta concezione che ha di se stesso. Dopo averci dato degli sgherri al soldo del Cavaliere ed essersi impancato a disquisire sul giornalismo d'inchiesta - lui che del giornalismo conoscerà solo l'assegno previdenziale che incasserà nonostante da 30 anni non metta piede in redazione - Fini ci accusa di volgarità. Aver raccontato che la sua scorta aveva prenotato 9 camere per oltre due mesi in uno dei più begli alberghi dell'Argentario, stanze pagate 80 mila euro anche se non occupate, sarebbe volgare. Non è volgare chi spreca i soldi della collettività, chi non tratta il denaro dei contribuenti come se fosse il proprio: la volgarità è di chi denuncia lo sperpero. Siamo volgari noi che abbiamo alzato il velo sull'uso e l'abuso di un servizio, non chi di quel servizio fa un impiego esagerato, senza badare a spese. Ottantamila euro sono per la maggioranza degli italiani lo stipendio di molti anni, una cifra con cui comprare, se non l'appartamento in cui vivere con la famiglia, una buona parte di esso. E per qualche weekend al mare del presidente della Camera si sono spesi 80 mila euro. La volgarità è tutta qui. Nell'uso senza freni dei soldi pubblici. Nella mancanza di sensibilità e di rispetto per chi lavora e paga le tasse. Non c'è altro da aggiungere. Non sono in discussione le misure di sicurezza cui è sottoposto Fini o altri. È in discussione la cafonaggine. Si poteva organizzare il servizio di scorta con altre modalità? Sì, si poteva. Irene Pivetti ha raccontato a Libero che quand'era presidente della Camera si faceva seguire da due agenti e i soggiorni del personale avvenivano in caserma. Roberto Castelli ha detto di aver fatto altrettanto, dormendo in un ex carcere. Anna Maria Cancellieri, ministro dell'Interno, ha confessato a Repubblica che lei stessa fa un uso discreto del personale al suo servizio, riducendo al minimo gli spostamenti e cercando sistemazioni che non gravino sul bilancio statale. Non poteva farlo anche Fini? Lui, che nella lettera si dimostra sensibile alle condizioni economiche degli agenti di polizia, non poteva parlare con loro, informarsi circa i turni, la sistemazione alberghiera, i relativi costi, senza far spendere 80 mila euro? La risposta non c'è, perché, pur riconoscendo che il sistema deve cambiare, pur invocando l'abolizione di un privilegio, nella sua lettera il presidente della Camera non dà segno di volersi rimproverare alcunché. Come un principe intoccabile egli non deve essere chiamato a rispondere: ha facoltà di fare solo editti. Anzi, chiama a raccolta gli scortati, come se fossero una categoria che deve essere difesa non dalle minacce, dalle aggressioni e dai probabili attentati, bensì dalle critiche dei giornalisti e dal controllo dell'opinione pubblica. Essere scortati - lo sappiamo per esperienza diretta - non è un privilegio, perché si vive in una condizione di semilibertà e si deve rendere conto di ogni spostamento a chi si occupa della sicurezza. Ma non tutti gli scortati sono uguali. Fra i tanti, che vivono come un peso l'essere circondati da uomini armati, c'è anche chi fa il bullo. E il peggio è che, oltre allo stile, mancano anche i soldi. Ottantamila per l'esattezza. Ps. Mi sia consentito un riferimento personale. Nella lettera a Repubblica il presidente della Camera tra le altre cose accenna alla mia scorta (due persone), nel tentativo di mettermi sul suo stesso piano. Non avendo alcunché da nascondere, soprattutto 80 mila euro da giustificare, mi preme precisare un paio di cose. Il servizio di tutela fu disposto 9 anni fa dal prefetto di Milano, Bruno Ferrante, poi candidato del centrosinistra contro Letizia Moratti, in accordo con il questore Vincenzo Boncoraglio, poi responsabile della sicurezza nel Lazio all'epoca di Piero Marrazzo. La misura fu adottata in seguito a una minaccia precisa e a una rivendicazione precisa da parte di una sigla che si era già segnalata per un attentato alla questura di Genova. Il provvedimento d'urgenza deciso da prefetto e questore fu confermato poi dal comitato nazionale che presiede alle misure di sicurezza e, nonostante nel corso degli anni si siano succeduti governi di centrodestra, governi di centrosinistra e anche governi tecnici, la scorta mi è sempre stata confermata. Non posso dire che la cosa mi abbia fatto piacere. Non avendo bisogno né di autisti né di badanti, avrei preferito continuare a girare da solo, ma questori e prefetti mi hanno dissuaso dal farlo. Pur essendomi assoggettato al dispositivo di tutela, mi sono però sempre attenuto a una regola: costare il meno possibile alla collettività. L'auto su cui viaggio non è dello Stato ma privata e la manutenzione non è a carico dei conti pubblici. Quando mi sposto, non mi segue il personale che abitualmente si occupa di me a Milano, ma il servizio è curato da agenti del luogo dove mi reco, a La Spezia come a Napoli, a Bari come a Palermo. Le poche volte che, al contrario, la scorta di Milano mi accompagna nella trasferta, cerco di provvedere alle spese, pagando i pranzi e non di rado il soggiorno. In passato, volendo qualche volta uscire in mare con un piccolo gozzo e avendo la sicurezza predisposto un servizio di tutela al seguito, con tanto di motovedetta, ho faticato non poco a convincere i vertici della polizia a levarmi l'imbarazzante codazzo: alla fine, vincendo le resistenze, ce l'ho fatta. Quella pilotina era per me motivo di vergogna. Un sentimento che, a quanto pare, altri non provano.