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Ora siamo al TraMonti

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Il premier ha perso di vista la realtà: la sua fine è vicina. Il centrodestra deve preparare il suo piano di salvataggio

Lucia Esposito
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Ieri Mario Monti ha certificato il fallimento del suo governo, oltre che il suo personale. Intervenendo all'assemblea dell'Associazione delle casse di risparmio il presidente del Consiglio si è lasciato sfuggire uno sfogo contro i poteri forti, la stampa e Confindustria. Lamentele che ricordano molto l'ultimo periodo del suo predecessore, quando Berlusconi di fronte alle difficoltà dava la colpa ai giornali e all'establishment di questo Paese. Ma che cosa ha fatto uscire dai gangheri il nuovo inquilino di Palazzo Chigi al punto di dichiararsi vittima dell'informazione e della  grande impresa? Semplice: l'ultima tirata d'orecchie del Corriere della Sera. Giorni fa Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, due professori che scrivono sempre in coppia come i carabinieri, hanno pubblicato un articolo dal titolo significativo: la direzione sbagliata. In esso gli editorialisti di via Solferino commentavano la politica del governo, sostenendo che molti provvedimenti vanno nel senso opposto a quello che sarebbe auspicabile e necessario. Una sberla che deve aver fatto male al premier, anche perché arriva dal quotidiano che lo ha imposto  alla guida del paese,   da  due suoi colleghi bocconiani e per di più da quel Francesco Giavazzi che lui stesso ha voluto come consulente del governo in materia di incentivi alle imprese.  Ad essa si aggiunga la posizione dell'organizzazione degli imprenditori, che insiste a criticare la riforma del mercato del lavoro, ritenendola inutile se non dannosa perché complica le procedure per i licenziamenti. Segnali che evidentemente il presidente del Consiglio non riesce a digerire, non capacitandosi del repentino cambiamento di umore dei poteri forti nei suoi confronti. Se fino a ieri il Corriere lo sosteneva insieme agli industriali ritenendo l'ex rettore della Bocconi l'unico in grado di tirarci fuori dai guai, oggi lo stanco simbolo della borghesia lombarda e i rappresentanti della parte produttiva del Paese sembrano considerare concluso l'esperimento dei tecnici al potere. La cura di Monti in sette mesi non ha prodotto i risultati sperati, l'Italia rallenta sempre più e la crescita non si intravede all'orizzonte: perfino dal punto di vista dei conti le cose non quadrano. Ma se il disincanto era prevedibile, soprattutto di fronte al buco da 3,5  miliardi di euro nelle previsioni di bilancio, ciò che stupisce è la sorpresa di Monti. Il professore rispondendo piccato al Corriere e a Confindustria sembra non rendersi conto delle ragioni del voltafaccia. Anche ieri, rivolto a Squinzi e agli imprenditori, il presidente del Consiglio ha insistito sulla bontà della riforma del mercato del lavoro, sostenendo che il mondo dell'impresa la sta sottovalutando. «La nuova legge tocca e scardina dei tabù» ha detto ai banchieri dell'Acri. Peccato che non la pensino così non solo gli industriali, ma gran parte dei suoi colleghi professori, in particolar modo i giuslavoristi, ossia i docenti che studiano i contratti e le regole tra dipendenti e impresa.  La testardaggine di Monti nel negare l'evidenza, sia dal punto di vista dei conti che dell'efficacia di certe riforme, denota una certa incapacità ad accettare la realtà, se non addirittura di percepirla. Dopo tanti anni passati ad insegnare,  nel mondo felpato dell'università dove il contraddittorio non è proprio la regola, forse il professore fatica ad abituarsi ad un mondo in cui non basta tenere una lezione, ma è necessario che la lezione produca un risultato e la teoria si traduca in pratica, altrimenti in poco tempo si va dritti alla bancarotta. Insomma, la nostra sensazione è che il governo e il suo interprete principale siano giunti al capolinea e lo sfogo di ieri rappresenti un segnale.  Non abituato al confronto e meno ancora alla macchina dello Stato, Monti ha in pochi mesi ha dilapidato un patrimonio di fiducia, mettendo a dura prova i suoi stessi  nervi. Una situazione che forse si vede nel suo insieme più da lontano: non a caso a scrivere della luna di miele conclusa fra gli italiani e il loro premier sono i principali giornali stranieri, da quelli inglesi ai francesi. Ma preso atto del fallimento di Monti, cosa si può fare? Inutile piangersi addosso, né cercare altri maghi o tecnici che possano risolvere i problemi. Il centrodestra,  o meglio: quello che ne resta, ha il dovere  di reinventarsi. Berlusconi e Alfano riuniscano i migliori cervelli italiani, economisti, giuristi, imprenditori, e mettano a punto un programma di pochi ma efficaci punti. Quello che serve è un piano di salvataggio del Paese, da affidare a un nuovo leader e a un nuovo partito che raggruppi l'area liberale. Il Cavaliere e i suoi colonnelli per salvare la straordinaria esperienza moderata aiutino la formazione di questo schieramento e si preparino alle elezioni. Ormai infatti è chiaro a tutti, che da questo fallimento si esce solo con il voto.  Ps. Nella notte, il governo è stato indotto a un vertice notturno dopo l'affondamento del decreto sviluppo, gli scontri tra i ministri Passera, Fornero e Grilli e la bocciatura degli emendamenti predisposti dal sottosegretario Catricalà. Un motivo in più, per il centrodestra, di fare in fretta. Se anche i ministri litigano e si dividono, segno che siamo al tramonto di Monti.    di Maurizio Belpietro

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