L'Italia dei tecnici ricorda Paperopoli
In una storia di Topolino del 1993 il sindaco chiama un gruppo di esperti per risolvere la crisi economica. Purtroppo non viviamo in un fumetto e con Monti stiamo finendo a gambe all'aria.
Finalmente abbiamo capito da dove Giorgio Napolitano abbia tratto l'idea che nominando un governo di tecnici avrebbe risolto i problemi italiani. La soluzione dell'enigma ce l'ha fornita un lettore, il quale ci ha inviato via mail una pagina di Topolino. Sì, avete letto bene, quasi vent'anni fa, nel 1993, il celebre giornalino a fumetti della Walt Disney pubblicò la storia di una Paperopoli totalmente indebitata, che non sapeva più come far quadrare i conti. Al sindaco-papero venne allora l'intuizione di affidare la conduzione del comune ai tecnici, «esperti fiscali indipendenti assunti allo scopo di incassare soldi e impopolarità». Per questo vennero ingaggiati i tassatori «più feroci sul mercato», i quali precipitarono Paperopoli in un regime di oppressione fiscale. Dalla lettura della pagina non è dato sapere come finì la storia. Nella realtà però possiamo già dire che la brillante idea partorita dal presidente della Repubblica con la collaborazione di Angela Merkel, sta finendo male. Per rendersene conto basta guardare il livello raggiunto ieri dallo spread e i dati riguardanti la disoccupazione giovanile diffusi dall'Istat. Quando Silvio Berlusconi fu indotto a dimettersi il differenziale tra i titoli di Stato tedeschi e i nostri era arrivato a quota 500, ora sfiora la stessa cifra. Per quanto riguarda i senza lavoro stiamo anche peggio: secondo l'istituto di statistica a marzo eravamo a un passo dall'11 per cento, un livello che ci riporta indietro di 13 anni, mentre se si guarda ai giovani che non hanno posto siamo vicini al 36 per cento, dati che non si toccavano da quasi vent'anni. Con la differenza che fino a ieri un bollettino di guerra simile sarebbe stato presentato in prima pagina come una catastrofe, adesso invece ogni notizia negativa è nascosta nelle pagine interne e non commentata. Il 9 novembre dello scorso anno, cioè vale a dire il giorno stesso in cui il Cavaliere gettò la spugna annunciando le dimissioni per il bene del Paese, Ezio Mauro, direttore di Repubblica, pubblicò un editoriale di poche righe in cui, auspicando che si voltasse pagina, sostenne la necessità di «agire con la massima urgenza, dopo che i mercati ci avevano fatto pagare duramente le incertezze e le contraddizioni di Berlusconi». Ma adesso che il premier è Mario Monti, un tipo sobrio per definizione, vorrebbe spiegarci Mauro quali incertezze, quali contraddizioni ci fanno pagare? Allora secondo il numero uno del quotidiano debenedettiano eravamo un Paese allo stremo, che si sarebbe potuto salvare solo se il Cavaliere avesse lasciato il campo al più presto. Risultato: oggi siamo di nuovo a quota 500, i disoccupati hanno raggiunto livelli record, il Pil è in discesa, le tasse hanno toccato un picco mai visto al punto che perfino il governatore della Banca d'Italia se ne vergogna e, infine, tutti siamo un po' più poveri. Ciò nonostante nessuno scrive editoriali chiedendo di voltare pagina. Né si lanciano preoccupati moniti sulla tenuta finanziaria del Paese. Purtroppo la realtà è riassunta in un libricino appena scritto da Giulio Sapelli, docente di storia economica della Università degli studi di Milano assai vicino al centrosinistra. Ne «L'inverno di Monti» il professore racconta il premier come una specie di dictator romano, uomini di tempra chiamati in circostanze gravissime e di fronte a pericoli tangibili. Ma oggi la situazione è ben diversa. Scrive Sapelli: «I viaggi all'estero del console Mario Monti mi ricordano le pagine di Machiavelli su Ludovico il Moro che va dai francesi per sconfiggere i veneziani, portandosi il nemico in casa. Sappiamo come è andata a finire». Secondo il professore in luogo dei tecnici vi sarebbe stato bisogno di politica, cioè di un accordo fra le grandi forze per far fronte alla drammaticità della crisi. «Purtroppo il rifiuto della soluzione politica produce l'aumento della sofferenza sociale e l'emergere di una crudeltà istituzionale fino ad oggi mai vista». Conseguenza del potere dei professori italici, i quali, secondo Sapelli, come quelli europei e di tutto il mondo, «vivono nell'iperuranio dell'astrattezza, in primo luogo gli economisti che, troppo spesso, sono solo professori e non intellettuali, con conseguenze ancor più umanamente devastanti: concepiscono i soggetti come cavie e non come persone». E in conclusione suggerisce di riformare le banche, espropriando i patrimoni delle fondazioni bancarie per trovare i denari per rifondare lo Stato imprenditore. Insomma, abbiamo sbagliato tutto, credendo che gli esperti fossero in grado di trarci dai guai. Ma nonostante il Paese rischi di andare a gambe all'aria, invece di riconoscere l'errore, Napolitano pensa a festeggiare la Repubblica. Brindisi sobri lontano dai flash dei fotografi che quest'anno al Quirinale sono stati vietati, ma sempre brindisi. Cosa ci sia da festeggiare non si sa. Si sa però che la nostra storia non è un fumetto: infatti non si intravede nel breve un Paperinik che ci salvi dal governo delle tasse. di Maurizio Belpietro