Adesso Monti vuol tassare pure i terremotati
Di fronte all'emergenza l'unica idea di Mario è imporre nuove gabelle. Ma così colpisce anche chi ha perso tutto
Mesi fa, di fronte alle prime difficoltà in Parlamento, Mario Monti fece capire che lui e il suo governo non sarebbero rimasti a dispetto degli onorevoli. «Non vogliamo tirare a campare», disse in tono minaccioso verso i partiti. Sarà, ma anche se il premier con quelle parole voleva marcare la propria differenza rispetto a Giulio Andreotti - autore in passato di un «meglio tirare a campare che tirare le cuoia» - lui e i suoi ministri stanno usando proprio gli stessi metodi dei vecchi capi democristiani da cui il presidente del Consiglio desidera far sapere d'essere lontano mille miglia. Per far fronte alle urgenze della ricostruzione in Emilia, da un tecnico e da un esecutivo di professori ci saremmo infatti aspettati qualcosa di nuovo rispetto alla solita tassa sulla benzina che invece ci hanno propinato. Aumentare le accise sui carburanti è un'idea che in Italia è stata applicata in quarant'anni dai governi di ogni colore: non c'è evento sismico o emergenza grave che non sia stato finanziato spillando soldi alla pompa, cioè prelevandoli dal portafogli dei consumatori. In questo modo, anno dopo anno, si sono aggiunte nuove accise senza togliere mai le precedenti, per cui oggi il nostro pieno è il più caro d'Europa e gli italiani sono costretti a pagare non per il terremoto d'Abruzzo, ma ancora per quello del Belice accaduto nel gennaio del 1968, in quanto le tasse sono come i diamanti, cioè per sempre. Intendiamoci: non ce l'abbiamo con la popolazione dell'Emilia colpita dal sisma. Quella è gente che ha perso il patrimonio di una vita, quando addirittura non la vita stessa, per cui merita il nostro rispetto e tutto il nostro aiuto e lo abbiamo scritto anche ieri, invitando Monti e compagni a trovare subito i soldi per la ricostruzione e anche i colpevoli, ammesso che ve ne siano. Riteniamo però che ci sia modo e modo di aiutare i terremotati e gli italiani stessi lo dimostrano aderendo con entusiasmo alle tante sottoscrizioni lanciate in tv o sulle pagine dei giornali. Per far fronte ai danni provocati dalle scosse è proprio necessario far gravare un'altra tassa nelle tasche dei contribuenti? Già molti di loro non se la passano bene, soprattutto di questi tempi in cui si chiede di pagare le imposte anche sulla casa in cui si abita con la propria famiglia. Se poi ogni mese si rincarano le accise, l'auto chi la usa più? Come se non bastasse, il governo non pare escludere l'idea di aumentare di un punto o due l'Iva, una misura che ancora una volta colpirebbe tutti (terremotati compresi), provocando tra l'altro un aumento dell'inflazione e dunque riducendo il potere d'acquisto dei redditi più bassi. E, di male in peggio, non avrebbe scartato neppure l'ipotesi di una patrimoniale che prelevi un po' di contante a chi è riuscito ad accantonare qualche risparmio. Insomma, dalle prime misure adottate e da quelle ventilate si capisce che tutto intende fare il governo tranne mettere mano alla spesa pubblica e agli sprechi. Altro che spending review, altro che alto commissariato per gli acquisti di Stato. Qui tutto continua come prima e non un solo euro è stato tagliato. Nonostante gli annunci del ministro incaricato, Piero Giarda, secondo il quale ci sono cento miliardi di uscite dalle casse dell'amministrazione dei ministeri e degli enti locali che possono essere risparmiati, alla fine tocca sempre ai contribuenti saldare i conti. Neanche il commissario del commissario (questo governo di fatto fu nominato allo scopo di interdire la politica nell'ora dell'emergenza, ma poi ha dovuto ricorrere ad esperti che hanno interdetto gli stessi ministri) fino ad oggi ha partorito grandi risultati. A parte le notizie filtrate sull'analisi dei costi nella sanità, noti e criticati da anni, degli interventi di Enrico Bondi in materia si sa poco o nulla. Soprattutto non se ne vedono i benefici. Tutto rinviato alla seconda metà di giugno. Intanto ci tocca registrare che lo spread è tornato a salire fino a lambire quota cinquecento. Segno evidente che la cura Monti non piace ai mercati: forse qualcuno dovrebbe spiegare al bocconiano che le tasse sono una palla al piede per la crescita economica. E cercare di fargli capire che moltiplicando le imposte, non si moltiplica il portafogli degli italiani. di Maurizio Belpietro