Adesso nel Pdl c'è bisogno di una rivoluzione
di Maurizio Belpietro
Come immaginavamo, nonostante la scoppola elettorale non abbia risparmiato nessuno dei partiti tradizionali, il giorno dopo c'era chi cantava vittoria e chi, non potendo festeggiare per l'evidenza della sconfitta, si accontentava di minimizzare. Qui a fianco potrete trovare un articolo in cui il nostro Bechis smonta l'esultanza di Bersani e compagni: non solo il Pd non ha conquistato un voto in più, ma studiando con cura i dati ci si accorge che ne ha persi parecchi. Per quel che ci riguarda, ognuno è libero di raccontarsi quel che gli pare, anche con le balle, ma non vorremmo che l'abitudine assai diffusa a sinistra contagiasse pure la sponda opposta. Dagli esponenti più in vista del centrodestra, abbiamo infatti ascoltato discorsi un po' troppo auto assolutori, che non ci piacciono. È vero che Pdl e Lega hanno perso perché si sono presentati divisi all'appuntamento elettorale e per di più sbagliando nella scelta dei candidati. Prendete ad esempio Verona, dove il sindaco uscente era un leghista stimato e molto popolare come Flavio Tosi. Invece di riconfermarlo senza star troppo a discutere, il Pdl si è messo a litigare. Risultato: una parte dei suoi esponenti è passata armi e bagagli con l'uomo di Maroni e l'altra si è avviata alla sconfitta scegliendo come suo rappresentante un banchiere, dimenticando che gli istituti di credito, di questi tempi, non godono di ottima reputazione. Stessa storia a Genova, dove contro il marchesino rosso di Sinistra e Libertà è stato schierato un uomo di Carige, altra banca. Così, tra Rifondazione (comunista) e la Fondazione (bancaria) gli elettori hanno votato la prima. Il peggio è però quanto capitato a Parma, dove anziché cercare l'alleanza con altri partiti moderati, il centrodestra ha deciso di candidare l'ex vicesindaco di una giunta cacciata coi forconi, ottenendo una percentuale omeopatica. Tuttavia se Il Pdl ha dovuto dire addio a capoluoghi che controllava fino a una settimana fa non è solo perché ha litigato e sbagliato cavallo, ma anche per la scelta di appoggiare il governo. Dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi il Popolo delle Libertà, invece di pretendere le elezioni come aveva sempre sostenuto, ha accettato di sostenere Mario Monti: una scelta dettata dalla responsabilità, è stata la giustificazione dei vertici per l'improvviso cambio di rotta. Può darsi, ma, appena insediatosi, il neo presidente del Consiglio ha fatto il contrario di quanto fino al giorno prima il centrodestra aveva promesso ai propri elettori. I quali magari non si aspettavano che si riducessero le tasse, ma almeno che nessuno mettesse le mani nelle loro tasche. Il nuovo esecutivo invece non solo le mani le ha messe, ma le tasche dei contribuenti le ha pure svuotate, aumentando il prelievo e ripristinando le imposte sulla prima casa. Dei tagli alla politica e di quelli promessi alla spesa pubblica, altri cavalli di battaglia dell'area moderata, invece nemmeno l'ombra: di rinvio in rinvio siamo arrivati ai tecnici che nominano altri tecnici per decidere dove vanno fatti i tagli tecnici. Una barzelletta. Non meglio è andata con la riforma del mercato del lavoro: doveva essere epocale - così la definì il premier - ma a forza di «ritocchini» è diventata un mostro, un po' come capita a quelle signore che a forza di interventi di chirurgia plastica non si riconoscono più. Poteva essere contento l'elettore di centrodestra di tutto ciò? Poteva riuscire a mandar giù e andare allegramente a votare candidati sbagliati dopo i pasticci combinati prima dal governo Berlusconi e poi dal governo Monti? Ovviamente no. Una buona parte infatti se n'è rimasta a casa, delusa e sconfortata, mentre un'altra per rabbia non ha esitato a mettere la croce sul simbolo con le cinque stelle. Che le cose siano andate così è del tutto evidente. L'elettorato moderato non è evaporato e neppure ha cambiato bandiera: si è solo scocciato. Inutile dunque minimizzare o dare la colpa al ronzino divenuto candidato. Se il Pdl e il centrodestra sono stati sconfitti è perché non ne hanno combinata una giusta negli ultimi tempi e se vogliono tornare a vincere devono darsi una mossa. Anche se ai vertici non piace sentirselo dire, bisogna dunque rifondare il partito e l'area che esso rappresenta. Serve un nuovo programma di pochi ma credibili punti, sulla spesa pubblica, sui tagli alla Casta e sull'economia. Ma soprattutto c'è bisogno di una nuova classe dirigente e di una nuova leadership. Sono pronti i capi del Popolo della Libertà a fare tutto ciò senza occuparsi solo della loro poltrona, ma anche di quelle assai scomode su cui siedono gli italiani? Noi ce lo auguriamo, ma il tempo stringe. Le prossime elezioni politiche sono alle porte. di Maurizio Belpietro [email protected]