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Italia nel mirino dei mercati peggio di Irlanda e Romania

Da spread e indicatori più influenti un quadro drammatico: rischieremmo la bancarotta anche più del Marocco. Ecco perché

Andrea Tempestini
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  L'Italia ha maggiori possibilità di fallire rispetto a Romania, Slovacchia, Polonia, Lituania, Islanda, Slovenia e anche del Marocco. Il verdetto è quello scritto dai Credit default swap, i Cds, le assicurazioni private sul rischio fallimento di uno Stato, che coprono l'investitore nell'eventualità del crac di un Paese, che non sarebbe così più in grado di onorare il proprio debito. Il costo di un Cds sale di pari passo al rischio default di uno Stato. E così oggi, martedì 10 luglio, la quotazione di un Cds sull'Italia è di 522 punti (in crescita del 76% su base annua), rispetto - soltanto per citare degli esempi - ai 227 punti del Marocco, i 180 della Polonia, i 517 dell'Ungheria, ma anche i 547 dell'Irlanda (un valore di poco superiore rispetto a quello del Belpaese e in calo del 45% su base annua). La quotazione dei Cds sulla Spagna è a 587: il fallimento di Madrid, dunque, sarebbe più probabile di quello di Dublino. Non è nemmeno necessario stare a sottolineare come i fondamentali economici dell'Italia e della Spagna siano decisamente più robusti di quelli irlandesi, marocchini, polacchi o ungheresi. Ma tutto ciò, per i mercati, conta fino a un certo punto. Gli spread - La situazione offre gli stessi spunti se analizzata dalla prospettiva dello spread. Per prime le ultime rilevazioni: il differenziale che misura il livello di rischio dei titoli di Stato italiani rispetto al Bund tedesco si attestava a 456 punti base, mentre quello dei Bonos spagnoli era a 550 punti. Quello dell'Irlanda? Intorno ai 460 punti base, circa come l'Italia. Oppure il caso del Portogallo: rispetto a Madrid, lo spread tra i titoli decennali a inizio anno era di 1.080 punti base, mentre ora si è assottiliato intorno ai 280 punti. Secondo gli indicatori più seguiti e rilevanti, insomma, Italia, Spagna, Portogallo e Marocco (soltanto per prendere in considerazione gli esempi citati) fanno parte del medesimo girone. Per non parlare del fatto che Paesi come la Romania e la Polonia (fuori dall'euro) hanno la possibilità di rifinanziarsi in asta pagando interessi decisamente inferiori rispetto a quelli che massacrano le casse del Tesoro italiano. Euro nel mirino - I motivi per spiegare uno squilibrio tanto indigeribile quanto ingiustificabile sono molteplici. Per primo, il fatto che il grande bersaglio di una fantomatica "speculazione" è l'euro: i Paesi fuori dalla moneta unica possono vivere più tranquillamente. La grande scommessa dei mercati over the counter, quelli non regolamentati e dove vengono scambiati anche i Cds, è quella sull'euro: farlo cadere, per alcuni, potrebbe trasformarsi in una miniera d'oro. E se l'euro vacilla per gli errori di gestione e per i buchi in bilancio del Vecchio Continete, è ovvio che i mercati si accaniscano su un "paziente in agonia".  Mani legate - Poi ci sono ragioni tecniche, più volte ribadite: l'Italia, come la Spagna, non ha la possibilità di poter gestire in autonomia la propria politica monetaria, l'unico antidoto ai venti speculativi. Ogni mossa di Roma deve essere avallata dalla Bce, che però non può operare come l'omologa statunitense, la Fed, ossia con tempismo immediato e cospicue iniezioni di liquidità. E i mercati non stanno a guardare riforme e piani di riforme, ma l'orizzonte immediato, di poche ore, sul quale - oggi come oggi - non c'è alcun organismo sul quale possa intervenire. Per ultimo resta da spiegare il motivo per il quale, oggi, l'Irlanda, secondo Cds e spread, rischierebbe meno di Roma. Dublino ha ricevuto in totale 37,5 miliardi di aiuti diretti da Bruxelles (l'ultima tranche, di 2,3 miliardi, tre settimane fa). La Ue ha insomma lanciato un messaggio: per l'Irlanda un paracadute c'è ed è già aperto. L'Italia, al contrario, non lo ha ancora aperto: ma l'ondata ribassista si può fermare soltanto mettendo sul piatto liquidità, possibilmente illimitata, come fece la Fed negli Usa per coprire le voragini della crisi dei mutui subprime.  

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