Renzi ha steccato: fa pagare gli onesti e i furbi la sfangano
Da quando esiste internet, i file mp3, mp4 o come diavolo si chiamano, non ho mai scaricato una canzone o un libro senza pagarlo. E non perché anche io, come fanno abitualmente milioni di persone nel mondo, non abbia sentito il desiderio di prendermi gratis una musica o un testo: semplicemente perché non ne sono capace. Uso il computer, il tablet e lo smartphone (così adesso chiamano il telefonino), ma li uso per le cose più semplici: scrivere un articolo, leggere una copia di giornale, telefonare a un amico. Tutto il resto per me è tabù, o quasi. Apprezzo quelli che sanno fare i download, guardare i film in streaming e pure coloro che si destreggiano tra le App, ma, scusate, questa non è la mia specializzazione. Ciò nonostante, pur non essendo un pirata del web, pur non essendomi mai appropriato delle altrui opere di ingegno senza pagare le royalties, pur non essendo uno che sente musica o guarda film a sbafo, anche a me d'ora in poi toccherà pagare la tassa Siae, l'ultima tra quelle inventate dal governo Renzi. Di che si tratta? Dell'imposta voluta dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini per far contenti gli autori e gli editori. O meglio: di un'imposta che già esisteva fin dal 2003, ma che Franceschini ha fatto lievitare raddoppiandola. La Siae è la società che cura gli interessi di scrittori, cantanti, attori e registi, perché su ogni copia venduta di un libro, un cd oppure di un film fa pagare le royalties. Se una radio manda in onda una hit paga e lo stesso fa il cinema parrocchiale che proietta una pellicola (a proposito: ma esistono ancora i cinema parrocchiali o la crisi delle vocazioni ha avuto riflessi anche sui locali cattolici?). Così per lo meno avveniva fino a ieri. Ma da quando la musica, i film e anche i libri viaggiano su internet tutto è diventato più complicato, perché spesso basta un click per scaricare canzoni, best seller e riprese di successo. Clicca e leggi l'editoriale di Maurizio Belpietro in versione pdf