Augusto Minzolini: "Forza Italia sulla giustizia sta abdicando"
Scajola e Dell'Utri abbandonati alla gogna mediatico-giudiziaria. Berlusconi che invece di difendere gli amici di una vita gli getta addosso la croce della sconfitta elettorale. La condanna preventiva di Galan, al quale alcuni colleghi di partito hanno addirittura chiesto un passo indietro. L'impressione è che Fi abbia ammainato la bandiera del garantismo perché, tanto, col Cav ai servizi sociali, ormai non serve più. Il sospetto diventa una certezza quando gli azzurri arrivano a rinnegare il totem dell'immunità parlamentare. Ma il leader di Fi deve aver fiutato la deriva giustizialista che sta prendendo il suo partito, perché ieri ha richiamato all'ordine lo stato maggiore forzista. Che ha fatto inversione a “U”. «Non siamo disposti a rinunciare alla nostra storia liberale e garantista perché altri hanno deciso di inchinarsi al populismo giustizialista», giura Deborah Bergamini. «Fi difende il garantismo», assicura Maria Stella Gelmini, pur avendo già emesso un verdetto di condanna su Galan. Poi ci sono gli irriducibili, come Augusto Minzolini, che non ha mai tolto l'elmetto anti-toghe e avverte il rischio concreto che Fi venda la sua anima liberale a Matteo Renzi. «Se abdichiamo al ruolo antigiustizialista che fa parte della nostra identità, che non significa difendere i ladri ma le garanzie di libertà, chi rappresenterà questa parte d'Italia?». E lancia un altolà al suo partito: «Rischiamo di fare un errore politico madornale. Rischiamo di perdere pezzi della nostra identità a favore di congiunture politiche che potrebbero rivelarsi brevi, come fu il governo Monti, com'è stato l'esecutivo Letta e come potrebbe essere la permanenza di Renzi a Palazzo Chigi». Senatore, quindi è vero, Fi rinnega il garantismo? «Fi sta perdendo il suo carattere identitario. Se hai raccontato per anni agli italiani che ci sono stati, se non dei colpi di stato, delle scorciatoie per portare al potere questo o quel governo, poi non puoi accettare di fare una riforma che preveda un Senato non eletto direttamente dai cittadini. Ci siamo detti per vent'anni che il problema principale dell'assetto istituzionale è che il premier non ha i poteri per governare il Paese e oggi vogliamo indebolire uno dei due rami del Parlamento. Fi rinnega la propria identità, se si fa condizionare troppo dalle convenienze politiche del momento». Infatti, nessuno di voi ha speso una parola per Dell'Utri, Scajola, Galan... «Io non entro nel merito dei singoli casi. Ma non si può emettere una condanna a priori. Noi abbiamo sempre combattuto contro l'uso politico della giustizia. C'è una questione di regole che è fondamentale. Lo dice uno che la pensava molto diversamente. Poi assistetti al linciaggio di Craxi, che era stato accusato da Di Pietro di aver accumulato mille miliardi ad Hong Kong e il tesoro non si è mai trovato. Il partito di Renzi, che vuole fare le riforme entro il semestre europeo, è lo stesso che 5 anni fa diceva che la Costituzione non si deve toccare. Non vorrei che Fi si facesse contagiare da questo relativismo nei principi». Non è che Fi rinuncia al garantismo perché, col Cav ai servizi sociali e in attesa del verdetto sul processo Ruby, adesso è meglio tenersi buoni i magistrati? «Chi ragiona così sbaglia. Bisogna pensare ai principi e non ai casi particolari. È questo che ha impedito di fare la grande riforma della giustizia. Essendo io garantista, mi sono avvicinato a Fi. Ma se viene meno la sua ragione d'essere, non vedo perché la gente dovrebbe continuare a stare da questa parte». Il suo capogruppo Paolo Romani si è detto «ostile» all'immunità. Condivide? «L'immunità ai non eletti lascia perplessi, perché non puoi concederla ai consiglieri regionali che finiscono in Senato e agli altri no. Fa parte della contraddizioni di questa assurda riforma». Quindi lei è favorevole all'immunità tout court? «È stata una delle grandi intuizioni dei nostri padri costituenti: è l'istituto che serve a garantire l'equilibrio tra potere politico e giudiziario. Da una parte l'autonomia della magistratura, dall'altra un istituto che difenda l'autonomia della politica». Ma Fi vuole eliminarla. Lei come voterà in Aula? «Mi batterò, anche in dissenso dal partito, per l'elezione diretta dei senatori e perché sull'immunità ci sia una condizione uguale a quella della Camera. Le due cose sono collegate. Non mi piegherò alla riforma che vuole imporci il governo. Renzi è come il suo amico Prandelli: solo immagine. Un blablabla, lungo, noioso e ciarliero». intervista di Barbara Romano