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Non serve più l'astinenza per risolvere la dipendenza

Nasce la ‘soft therapy' un nuovo approccio alla malattia che riduce gradualmente il consumo di alcol per combattere la sudditanza sia fisica che psicologica dei pazienti in cura

Maria Rita Montebelli
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I dati sono allarmanti: circa 8 milioni di italiani hanno un consumo di alcol ‘a rischio' e quasi un milione sono alcol dipendenti, ma solo una piccola percentuale chiede aiuto per ricevere una cura. “Vi è anche un'altra importante ragione all'origine del mancato trattamento dell'alcoldipendenza - ricorda Icro Maremmani, professore di medicina delle farmacotossicodipendenze all'università di Pisa - Fino a ieri la soluzione che veniva prospettata era esclusivamente l'astensione immediata e totale dall'alcol. Un obiettivo non per tutti raggiungibile, tanto che non pochi pazienti evitano di affrontare il percorso di cura o, se lo iniziano, riprendono a bere (2/3 dei pazienti trattati per l'astensione ricadono nei primi 12 mesi).” Spesso avviene una concomitanza tra disturbi di natura psichiatrica e alcol dipendenza, inoltre una persona alcolizzata è circa 4 volte più esposta a sviluppare un disturbo dell'umore rispetto ad una persona che non ha dipendenza. "Quasi 17 mila decessi nel 2010 - precisa il professor Emanuele Scafato, presidente della società italiana di alcologia e vice presidente EUFAS, european federation of addiction societies - sono dovute a cause totalmente o parzialmente attribuibili al consumo di alcol". Sono circa 22 miliardi l'anno i costi sociali e sanitari causati dall'alcol in Italia. "Costi che paga la società - prosegue Scafato- e che potrebbero essere in gran parte risparmiati se si attivassero strategie e policy di valorizzazione dell'identificazione precoce e di intervento breve, ampliando contemporaneamente l'offerta di trattamenti adeguati sia in termini di qualità dell'assistenza che di obiettivi realistici, intermedi e di lungo termine, da concordare per ciascun caso, calibrandone tempi e modalità alla luce delle più recenti evidenze scientifiche. Il problema principale è che siamo in presenza di un fenomeno largamente sommerso. Nel 2012, solo poco più di 69 mila persone, delle circa 850 mila che richiederebbero un intervento da parte di un medico, si sono rivolte alle oltre 450 strutture di cura e riabilitazione del SSN presenti sul territorio. Le ragioni di questo squilibrio sono molteplici e spaziano dall'incapacità della persona e anche del medico di riconoscere il problema, alla difficoltà soggettiva di richiedere sostegno o indirizzare una richiesta d'aiuto, dall'influenza dello stigma che riguarda l'alcolista, all'esclusione sociale. Ma, spesso, anche la mancanza di valorizzazione e coordinamento delle risorse disponibili e di una rete formalizzata di competenze tra medicina di base, strutture specialistiche alcologiche e ospedale può essere discriminante". In questo scenario si fa strada la ‘soft teraphy' sperimentata al policlinico ‘Gemelli' di Roma, che vuol dire un finale migliore, l'approccio non è mirato, nella prima fase, alla astinenza completa ma ad un graduale esercizio sia fisico che mentale, grazie alla condivisione tra i pazienti della propria esperienza con il mutuo sostegno. Fondamentale è l'associazione tra terapia psicosociale e nalmefene che è un nuovo farmaco disponibile da qualche mese in Italia “ L'approccio si basa sull'uso combinato di una terapia psicosociale e di un farmaco, il Nalmefene, già rimborsato in altri paesi europei e in attesa di rimborsabilità in Italia dove è disponibile da qualche mese con l'indicazione per la riduzione del consumo di alcol in pazienti con consumi ad elevato rischio - continua Icro Maremmani - Oggi invece è disponibile un nuovo approccio che, portando alla riduzione graduale del consumo di alcol, può stimolare un maggior numero di persone a chiedere aiuto, facendo così emergere il sommerso di questo importante problema di salute pubblica e sociale”. Soft therapy. Per la prima volta il metodo è stato adottato nel mese di marzo 2014 al day hospital di psichiatria e farmacodipendenze del policlinico ‘Agostino Gemelli' di Roma e si basa su tre pilastri: terapia farmacologica a base di nalmefene, terapia riabilitativa di gruppo e colloqui individuali con il medico orientati alla riduzione del consumo. “Il nuovo approccio, grazie all'obiettivo più realistico che propone – spiega il professor Luigi Janiri, responsabile della sub-unità alcologica del day hospital di psichiatria e farmacodipendenze del policlinico ‘Agostino Gemelli' di Roma, diretto dal Professor Pietro Bria – ci ha consentito di ‘agganciare' e prender in carico presso la nostra struttura quelle persone che con molta probabilità non avrebbero iniziato un percorso di cura se la soluzione loro proposta fosse stata ancora l'astensione totale e immediata. Aver proposto un'opzione di trattamento meno radicale rispetto all'astensione, li ha motivati a chiedere aiuto”. Il programma terapeutico consiste in una valutazione da parte del medico dello ‘stile del bere', della quantità giornaliera media di alcol consumato dal paziente e individua un obiettivo condiviso di riduzione del consumo. “Dall'avvio del programma, possiamo già dirci soddisfatti per aver creato le condizioni per l'emersione quantomeno di una parte del sommerso, – conclude il professor Janiri – e per essere intanto riusciti a costituire e a mantenere attivo il gruppo riabilitativo e, soprattutto, per essere finalmente in grado di dare una risposta a persone che fino a ieri erano destinati ad arrendersi all'alcol. Attendiamo con ansia che questo nuovo farmaco riceva la rimborsabilità anche in Italia, come già avvenuto negli altri paesi europei. In questo modo, i nostri pazienti potranno così beneficiare di un trattamento per la loro patologia non più a loro spese ma a carico del SSN”. (GIOIA TAGLIENTE)

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