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Attento Matteo sono già in tanti a non fidarsi di te

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Maurizio Belpietro
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Chi ha ragione tra Squinzi e Renzi? Il presidente di Confindustria venerdì ha alzato il velo sui retroscena dell'incontro tra il capo del governo italiano e il suo omologo tedesco, spiegando che a differenza di quanto detto dal nostro premier, Angela Merkel non ci ha accolto con baci e abbracci ma con giudizi severi. Il presidente del consiglio ha replicato stizzito: «Che ne sa Squinzi del mio colloquio con la Merkel? Lui non c'era». Ma il capo degli industriali non pare affatto spaventato dalla reazione dell'ex rottamatore e anzi fa sapere che sta pensando di trasferire armi e bagagli, ma soprattutto aziende, in Svizzera. Insomma, quasi una rissa. Prima di entrare nel merito della disputa, per capire che cosa stia succedendo ai vertici di politica e industria servono due premesse: la prima riguarda Squinzi, la seconda la Cancelliera. Il numero uno di Confindustria non è nuovo a uscite poco istituzionali: prima che cadesse Enrico Letta  l'uomo da 2 miliardi di euro (tanto è il fatturato della sua azienda, la Mapei) lo apostrofò con parole poco garbate, dicendo che se non avesse fatto in fretta ad ascoltare le richieste degli imprenditori, questi si sarebbero rivolti direttamente al capo dello Stato. Un po' come dire: ragazzo, o ci dai retta o parliamo con il principale. Non contento, Squinzi ha incontrato con grande sorpresa dei vertici confindustriali lo stesso Renzi una settimana prima che questi desse il benservito a Letta, benedicendo implicitamente il letticidio. Dunque, se parla in maniera tanto ruvida è perché si sente tradito. Sull'Irap si aspettava di più, invece il furbo Matteo i pochi soldi che avanzano li ha messi sull'Irpef, pensando alle elezioni di maggio. Seconda premessa. A noi non piace che ogni nostra decisione, ogni scelta di un Paese che un tempo era sovrano, sia ricondotta a ciò che ne pensa la Cancelliera di ferro. Angela Merkel è il capo del governo tedesco, guida cioè un Paese che è nostro alleato e pure nostro partner commerciale. Ma allo stato attuale non ci risulta ancora essere il capo del governo italiano. Dunque, ricondurre ogni volta le nostre decisioni al giudizio della donna forte dell'Europa non solo mostra un complesso di inferiorità, ma è un errore, perché non ci indurrà mai a fare le nostre scelte con coraggio, senza curarci del giudizio di Berlino. Ciò detto, visto che ormai il tema ha raggiunto le prime pagine e c'è chi tira l'acqua al proprio mulino per far credere che Angela Merkel lo abbia benedetto, sarà il caso di rileggere alcune cronache dei giorni scorsi. Non le nostre, che potrebbero essere giudicate di parte, essendo noto lo scetticismo che nutriamo verso le mosse del nostro presidente del Consiglio, ma quelle di Repubblica, cioè del quotidiano più renziano che ci sia. Che scriveva dunque il giornale debenedettiano all'indomani dell'incontro fra l'ex sindaco e la Cancelliera? L'articolo principale era vergato da Federico Fubini, un inviato che ha lunga esperienza di Bruxelles e di cose straniere. Il collega ricostruiva le fasi dell'incontro, rivelando che, prima di vedere Renzi, Angela Merkel si era fatta preparare un dossier sul suo conto: «Una collezione di cose che ha detto, a fronte di una collezione di cose che ha fatto». Conclusione: non serviva un dottore in fisica come la leader tedesca per rendersi conto che non sempre le due cose coincidono. Scrive testualmente Fubini: «Il test preliminare condotto a Berlino ha permesso dunque di concludere che la parola di Renzi non sempre è scritta sul marmo». Tuttavia qui siamo agli inizi, cioè alla fase che precede il colloquio tra i due capi di governo. Che cosa si sono detti poi i due secondo l'inviato di Repubblica? Per Fubini Angela Merkel avrebbe precisato che non basta rispettare i parametri di Maastricht, cioè il 3 per cento di Pil, ma bisogna tener conto anche del nuovo patto di stabilità e del Fiscal compact. Tradotto, significa che non esiste alcuna possibilità di allentare i cordoni della borsa e l'Italia è costretta a rispettare gli accordi. Si tratta cioè di un no alle richieste avanzate dal nostro premier, il quale però in conferenza stampa, di fronte ai giornalisti italiani, ha continuato a parlare solo di Maastricht e non di quanto gli era appena stato ricordato. Scrive Fubini: «L'impressione dei suoi interlocutori tedeschi è che il neo-premier non cogliesse in pieno la differenza tra il trattato del 1992 sull'unione monetaria e le regole più recenti». A dar retta al giornalista ha dunque ragione Squinzi. Altro che apprezzamenti, dalla Merkel sono arrivati giudizi severi. E non è tutto: anche l'incontro con François Hollande non sarebbe andato come raccontato. A Renzi che parlava di un allentamento del rigore, il presidente francese avrebbe risposto che il Fiscal compact si rispetta. Parola di Fubini, il quale conclude dicendo che dal tour europeo il presidente del Consiglio è tornato con un'apertura di credito nei confronti della sua spinta innovatrice, ma con zero concessioni. Insomma, tutti gli battono sulla spalle e lo incitano ad andare avanti, ma nessuno scommette su di lui. Stanno alla finestra augurandosi che ce la faccia. Un po' come gran parte degli italiani, Squinzi incluso, ma sempre più scettico. di Maurizio Belpietro

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