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Terapie del tumore al seno efficacia e meno invasività

Maria Rita Montebelli
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Una strage annunciata: ogni anno, nel mondo, quasi mezzo milione di donne muoiono a causa di questa malattia. E in particolare nel tumore al seno HER2 positivo, il recettore 2 del fattore di crescita epiteliale umano (HER2) è presente in maggiori quantità sulla superficie delle cellule tumorali. Gli esperti la chiamano “positività all'HER2” e interessa circa il 15-20% delle donne affette da carcinoma mammario, una forma particolarmente aggressiva. La ricerca ha permesso di affrontare questa malattia grazie a trastuzumab: lanciato negli Stati Uniti nel 1998, oggi è disponibile in oltre 100 Paesi in tutto il mondo. Sono più di 80.000 le pazienti che ricevono trastuzumab ogni anno in Europa, ed è possibile che tale trattamento si debba protrarre per diversi anni. Da poco, in Italia, accanto alla tradizionale somministrazione endovenosa, è stata introdotta una nuova formulazione sottocutanea: ugualmente efficace e sicura, ma meno invasiva e meglio tollerata dalle pazienti. Nel corso dell'EBCC-9 – il congresso appena conclusosi a Glasgow, sono stati presentati i dati conclusivi dello studio clinico PrefHer, disegnato per determinare le preferenze delle pazienti per quanto riguarda la via di somministrazione di trastuzumab. I vantaggi del sottocute. «A mio avviso questi dati supportano il futuro utilizzo clinico di trastuzumab sottocute, suggerendo una nuova direzione per la ricerca clinica nell'ambito dello sviluppo di farmaci – spiega Giacomo Allegrini, direttore dell'unità ospedaliera complessa di oncologia medica dell'Ospedale di Pontedera – La via sottocutanea potrebbe davvero rappresentare il futuro. Il trattamento dura circa 5 minuti, rispetto ai 30, come minimo, della somministrazione per via endovenosa. Inoltre, la paziente in generale sente meno il carico psicologico di essere sottoposta a un trattamento con dei farmaci oncologici. Non servono tutti i presidi sanitari necessari per la somministrazione endovenosa e il dosaggio unico in fiale da 600 mg comporta un abbattimento dei rischi legati alla preparazione dei farmaci oncologici. Infine, il tempo di preparazione del farmaco e quello di somministrazione si riducono considerevolmente: questo permetterebbe ai day hospital con alti volumi d'accesso di trattare un numero molto più alto di pazienti, rispetto all'infusionale, nello stesso arco di tempo». Risultati confermati. «L'utilizzo sottocute di trastuzumab è supportato dai risultati di un importante studio clinico comparativo HannaH, in cui questa formulazione è stata comparata con quella infusionale, nei pazienti con diagnosi di carcinoma mammario HER 2 positivo sottoposti a trattamento di chemioterapia primaria – spiega Giacomo Allegrini, direttore dell'unità ospedaliera complessa di oncologia medica dell'Ospedale di Pontedera - I risultati conclusivi hanno dimostrato come la formulazione sottocute, associata alla chemioterapia, fosse non inferiore a quella somministrata per via endovenosa, in termini di percentuale di risposte complete patologiche e hanno confermato come il profilo di sicurezza delle due diverse somministrazioni siano sovrapponibili». Lo studio PrefHer ha al suo interno un sottostudio, il “time and Motion” che ha voluto analizzare i tempi impiegati dal personale sanitario nelle attività relative a ciascuna sessione di trattamento delle pazienti ed all'occupazione della sedia infusionale. Il tempo di trattamento per paziente viene calcolato come la somma dei tempi medi di attività con trastuzumab IV rispetto a trastuzumab per via sottocutanea. (ISABELLA SERMONTI)  

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