Cecilia Sala, cancellato il murales: il vuoto si trasforma in voce
La cancellazione del murale dedicato a Cecilia Sala a Venafro, avvenuta poche ore dopo la sua realizzazione, non ha soffocato il messaggio di libertà e coraggio che l’opera trasmetteva. Al contrario, ha scatenato un’ondata di indignazione e solidarietà che, da un piccolo borgo molisano, si è diffusa in tutto il Paese. Quella mano di vernice bianca, stesa su un’immagine che celebrava la libertà di stampa, è diventata il simbolo stesso della lotta contro il silenzio imposto.
I Fatti. Il 28 dicembre, lo street artist Drugi aveva dipinto Cecilia Sala accanto a una colomba in volo, un’immagine carica di significati. "L'uccello della pace", con un taccuino stretto nella zampa e una penna nel becco, evocava la libertà di stampa e il coraggio della reporter romana, sequestrata in Iran e detenuta in isolamento nella tristemente famosa prigione di Evin senza capi di accusa validi. Purtroppo il murale sulla facciata della stazione ferroviaria di Venafro, in provincia di Isernia, è durato poco: una mano anonima ha coperto l’opera con uno strato di vernice bianca, lasciando dietro di sé solo domande. Perché rimuovere un’immagine così carica di significato? Chi ha deciso di cancellare un simbolo che, oltrepassando i confini locali, parlava di un valore universale? La mancanza di spiegazioni chiare non ha fatto altro che alimentare il dibattito, trasformando quella cancellazione in un atto politico, involontario o meno.
La rimozione del murale ha innescato una reazione collettiva. Lo scrittore molisano Pier Paolo Giannubilo ha lanciato un appello affinché l’opera venisse riprodotta in tutta la regione, un gesto simbolico per moltiplicare un messaggio che non può essere soffocato. “Invitiamo Drugi a ripetere il murale a Campobasso e mettiamo a disposizione uno spazio in città,” ha accolto l'appello la sindaca Marialuisa Forte, trasformando un atto di censura in un’opportunità di resistenza culturale. In questa risposta, Venafro diventa un esempio emblematico di come l’arte possa essere percepita come una minaccia da chi teme la potenza dei suoi messaggi. Ma diventa anche un luogo di rinascita, dove il significato sopravvive all’immagine.
Nel frattempo, a Parigi, l’artista Ozmo ha scelto di portare la vicenda di Cecilia Sala su un palcoscenico internazionale. Davanti al teatro La Colline, il 31 dicembre è apparso un manifesto che ritrae la reporter seduta, ammanettata, con un cerotto sulla bocca. Un’immagine cruda, creata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, che denuncia con forza la repressione e l’urgenza di un intervento per liberarla. Ozmo ha spiegato che il suo lavoro non cerca di consolare, ma di scuotere. La sua opera si rivolge a un pubblico globale, mettendo in luce una realtà che troppo spesso rimane nell’ombra: la repressione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
La vicenda del murale di Drugi e del manifesto di Ozmo dimostra che l’arte pubblica non è mai solo decorazione. È un atto politico, una testimonianza, un dialogo. Cancellare un’opera come quella di Venafro non equivale a cancellarne il messaggio, ma a trasformarlo. Ogni pennellata bianca diventa un gesto che amplifica il significato originale, evidenziando la necessità di resistere al silenzio. In questo contesto, la figura di Cecilia Sala emerge come un simbolo universale della libertà di stampa e del coraggio di raccontare la verità. Il suo lavoro, e la mobilitazione che il suo arresto ha suscitato, ci ricordano che le parole e le immagini possono attraversare confini, superare censure, e ispirare cambiamenti.
La rimozione di un murale, paradossalmente, lo rende immortale. Quel vuoto lasciato sulla facciata della stazione di Venafro è diventato una tela su cui la comunità può riscrivere un messaggio più grande: la libertà di stampa non può essere cancellata. Come un eco che si propaga, l’arte trova nuovi modi per riaffermare la propria presenza, trasformando ogni cancellazione in un gesto di resistenza. E così, da Venafro a Parigi, la voce di Cecilia Sala continua a risuonare, amplificata dal linguaggio universale dell’arte. Un linguaggio che, come una colomba in volo, non si può fermare.