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L'altra italiana protagonista a Teheran

Brunella Bolloli
Brunella Bolloli

Alessandrina, vivo a Roma dal 2002. Ho cominciato a scrivere a 15 anni su giornali della mia città e, insieme a un gruppo di compagni di liceo, mi dilettavo di mondo giovanile alla radio. Dopo l'università tra Milano e la Francia e un master in Scienze Internazionali, sono capitata a Libero che aveva un anno di vita e cercava giovani un po' pazzi che volessero diventare giornalisti veri. Era il periodo del G8 di Genova, delle Torri Gemelle, della morte di Montanelli: tantissimo lavoro, ma senza fatica perché quando c'è la passione c'è tutto. Volevo fare l'inviata di Esteri, ma a Roma ho scoperto la cronaca cittadina, poi, soprattutto, la politica. Sul blog di Liberoquotidiano.it parlo delle donne di oggi, senza filtri.

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Cecilia Sala è appena tornata a casa dopo 21 giorni di carcere a Teheran. Indiscutibilmente, la vicenda di questa collega che ieri ha pianto, si è commossa, aveva la voce rotta mentre raccontava a Mario Calabresi nel podcast Stories ciò che ha vissuto in cella a Evin, ha avuto due protagoniste: Cecilia stessa e Giorgia Meloni, determinata fin dall'inizio a riportare in patria la nostra connazionale. A qualunque costo, anche quello di scontentare la Casa Bianca sull'estradizione dell'ingegnere iraniano Mohammad Abedini. Un'altra donna centrale in questa storia è Elisabetta Vernoni, madre della giornalista di Chora Media e del Foglio, composta pur nella sofferenza enorme, orgogliosamente tenera nel descrivere la figlia come "un'eccellenza italiana, come il vino e i cotechini", e bravissima nel mantenere la calma pur nei momenti più duri, con le telecamere puntate addosso e una richiesta di silenzio stampa perché <il momento è delicato>. Non ha mai smesso di lavorare, Elisabetta Vernoni, anche per tenersi impegnata la testa e perché così fanno i piemontesi (è originaria di Casale Monferrato): poche parole, riservatezza e andare avanti anche con il sorriso pure se dentro si sta malissimo. Ma anche Paola Amadei è un'altra delle protagoniste del "caso Sala": è l'ambasciatrice italiana in Iran, prima donna ad avere assunto un ruolo così delicato in una terra dove le donne sono ancora costrette a girare velate o a subire umiliazioni o, comunque, dove non hanno gli stessi diritti degli uomini e se si oppongono vengono incarcerate e, spesso, uccise. Paola Amadei, è romana, è nata nel 1964 ed è una diplomatica di lungo corso, ha già ricoperto incarichi di peso in altri Paesi difficili ed è stata l'unica a potere incontrare Cecilia Sala nel carcere di Evin e a rendersi conto delle sue condizioni nei 21 giorni di prigionia. Stava trascorrendo le vacanze di Natale in Italia quando è uscita la notizia del fermo della giornalista ed è subito rientrata in ambasciata per cominciare quel fitto lavoro diplomatico, di raccordo tra Roma e Teheran, per cercare una conclusione rapida. Anche perché non è facile trattare con le autorità iraniane, il regime degli ayatollah ha posto le sue condizioni e la Farnesina poteva contare solo sull'ambasciatrice Amadei e sulle sue capacità di mediazione. Ieri il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha proposto una promozione a per nove diplomatici italiani, tra cui  l'ambasciatrice Amadei. La nomina è arrivata nel Cdm, anche per mettere a tacere alcune presunte polemiche sul ruolo della Farnesina in tutta questa vicenda. Un ruolo che è, com'è noto, di riservatezza assoluta, che non prevede telecamere né dispacci d'agenzia per ogni mossa che viene fatta. Parlano, alla fine, solo i risultati. E ora Cecilia Sala è a casa. Grazie a un grande, immenso, lavoro di squadra dell'Italia.  E delle donne italiane.         

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