Monti chiama Jovanotti
di Maurizio Belpietro
Ultime notizie dalle aziende: a febbraio la produzione industriale è diminuita dello 0,7 per cento rispetto al mese precedente. A qualcuno non molto esperto di cose economiche la flessione potrà sembrare poca cosa, rimediabile nei mesi a venire. Tuttavia, se il dato viene corretto annullando gli effetti di calendario, si scopre che significa un calo tendenziale del 6,8 per cento, il peggiore mai registrato negli ultimi anni. Alle cifre dell'Istat, che vengono rilasciate solo dopo essere state certificate, si aggiungono quelle di Confindustria, la quale stima una produzione industriale di marzo in linea con quanto registrato nel mese precedente. Tradotti, i tecnicismi degli statistici significano che la locomotiva Italia è ferma, o, peggio, che fa macchina indietro. Sarà per questo che, come rivela il settimanale Espresso, Mario Monti si è rivolto a Jovanotti, un cantante famoso per la filastrocca rap «Io penso positivo»? Forse che, andando di male in peggio le cose, il premier pensa di suggerire all'italiano costretto a tirare la cinghia di cantare in attesa che passi la crisi? Da quanto riferisce il periodico debenettiano, il presidente del Consiglio avrebbe voluto ingaggiare l'ex giovanotto per rifarsi l'immagine. Dopo le recenti bocciature formulate da autorevoli quotidiani - da quelli stranieri tipo Wall Street Journal a quelli nostrani come Corriere e Repubblica -, con le ballate il capo del governo vorrebbe sconfiggere i pessimisti. Purtroppo per lui e per fortuna nostra, il menestrello avrebbe detto di no, precisando al bocconiano di avere altro da fare e di non voler raccontare favole agli italiani. A prescindere dal gran rifiuto, ciò che conta è però l'invito di Palazzo Chigi al cantante. In un momento come quello attuale, dove si ha la sensazione che l'economia vada a rotoli e in cui operai, imprenditori e manager si suicidano (l'ultimo è di ieri, a Firenze), Monti non ha trovato di meglio da fare che contattare un uomo di spettacolo per affidargli la comunicazione di governo? La notizia ovviamente ci preoccupa fortemente. Se di fronte a un Prodotto interno lordo che si riduce, la terapia per contrastare la crisi si riduce a questioni di immagine, siamo proprio messi male. Noi ci aspettavamo la crescita, ma qui l'unica cosa che rischia di crescere è l'improvvisazione. Già, perché a dispetto di quanto la maggior parte degli italiani si immaginava, dopo i primi passi mossi con decisionismo e baldanza, le mosse dei professori si sono fatte un po' più incerte, al punto da apparire quasi goffe. Abbiamo riferito ieri della misura approntata in tutta fretta per reperire le risorse di cui abbisogna la Protezione civile. Il governo aveva pronta una tassa straordinaria sugli sms: due centesimi a messaggino, così da rapinare un altro po' di soldi dalle tasche dei consumatori. Registrata la sollevazione degli operatori telefonici e degli utenti, l'esecutivo è stato costretto a fare marcia indietro, annullando la decisione. Il tempo di una nottata ed ecco spuntare un'altra tassa. Questa volta niente sms, ma più banalmente nel mirino è finita la benzina: una nuova accisa da 5 centesimi al litro. Non contento che l'Italia abbia già il primato del pieno più caro d'Europa, Monti ha deciso di strafare. Non sappiamo quanto conti di ricavare con l'aggravio d'imposte, ma sappiamo per certo che il precedente inasprimento fiscale dei carburanti aveva fatto precipitare i consumi del dieci per cento, segno evidente che ogni centesimo in più pesa nelle tasche degli italiani. Come abbiamo detto, non solo per colpire la benzina non c'era bisogno dei professori, ma bastava un democristiano della Prima Repubblica, ma a forza di tosare la pecora c'è il rischio che tiri le cuoia. «Bisogna ammetterlo onestamente: nessun Paese può crescere con una pressione fiscale al 50 per cento». La frase non è nostra ma di due bocconiani, se non sbagliamo allievi di Mario Monti, nella cui università oggi insegnano. Alberto Bisin e Alessandro De Nicola due giorni fa su Repubblica spiegavano che l'unica strategia per far ripartire l'economia passa non dalle tasse ma dalla riduzione della spesa pubblica. Ottocento miliardi di euro su un prodotto interno lordo di 1.600 miliardi sono troppi, oltre la media dell'Ocse. Significa che siamo spendaccioni o, più correttamente, che qualcuno spreca i soldi che gli italiani guadagnano con fatica. Giorgio Napolitano, parlando agli stati generali della protezione civile, ha detto che chi evade il fisco non merita di essere considerato italiano. Può darsi: ma non merita di essere ritenuto tale neppure chi, avendo responsabilità istituzionali, continua a consentire che i soldi dei contribuenti siano gettati al vento. O no? di Maurizio Belpietro