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La ricetta di George W. Bush anti-deficit

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L'ex presidente presenta la "iniziativa per il 4%": "Obama si concentra sulla pressione fiscale, ma il segreto è lo sviluppo privato"

Giulio Bucchi
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In una delle sue rarissime apparizioni da quando non è più presidente, George W. Bush ha lanciato da New York il suo “Progetto per la Crescita Economica del 4%” attraverso una efficace politica fiscale. “Molta parte del dibattito pubblico è oggi sul debito di bilancio o sui costi dei programmi previdenziali, sanitari o assistenziali”, ha detto l'ex presidente parlando alla New York Historical Society  durante la prima Conferenza in materia economica del George W. Bush Presidential Center. “Ma la soluzione è focalizzarsi sulla crescita del settore privato. Cresce la torta, il debito pubblico relativo alla torta si restringe e con una adeguata disciplina fiscale si può risolvere il problema del deficit”. Bush non ha attaccato il presidente in carica, una linea del resto sempre seguita dal 2008. “Non credo che sia cosa buona per il nostro paese sminuire il nostro presidente e io non intendo farlo”, ha ribadito George W., che ha spiegato così la ragione per cui è stato nell'ombra fino a quando non è stato lanciato il “George W. Bush Institute”, che nei suoi disegni dovrebbe produrre effetti concreti. Sul terreno economico, scopo della “Iniziativa per il 4%” è quello di trovare le strade, in larga misura di tipo fiscale,  per raggiungere una crescita annuale sostenibile del 4%. Nei tre anni di Obama, dopo che la recessione è formalmente finita nel giugno del 2009, la crescita è stata asfittica, ancora sotto il 2% medio nel 2011. E ciò malgrado, come capita di solito, grandi depressioni producano successivamente riprese sostenute. Ma la chiave è favorire il trend di sviluppo, come fecero in passato John F. Kennedy, che nel 1963 appoggiò i tagli alla tassa sui guadagni di Borsa, Ronald Reagan negli Anni Ottanta e ancora Bill Clinton negli Anni Novanta, d'accordo con l'allora Speaker della Camera Newt Gingrich. Anche per George Bush le riduzioni fiscali sono la politica più potente perché può incentivare i cittadini a lavorare, a investire, a iniziare nuove imprese. “Creare aziende e dipendenti pubblici è facile, basta aumentare le tasse”, ha ironizzato l'ex presidente, che quando era alla Casa Bianca promosse due successive riduzioni del carico tributario sui redditi e sui capital gains nel 2001 e nel 2003, e ottenne incassi tributari maggiori delle previsioni dello stesso Ufficio del Budget congressuale.  “Magari non li avessero chiamati i ”, ha detto l'ex presidente, accennando che forse, senza il suo nome attaccato sopra, ci sarebbero ora maggiori speranze in una loro proroga prima della fine del 2012, quando è previsto che spariranno. Ma si sa che Obama, che ha impostato tutta la sua campagna per la rielezione a novembre proprio sull'attacco ai ricchi che non pagano abbastanza imposte, è determinatissimo a non accettare un prolungamento degli sconti attuali. Il presidente democratico ha fatto del tema fiscale una questione di “fairness”, di “correttezza e di giustizia etica”. Ma, come ha sostenuto la direttrice del Progetto del 4% del Centro George W. Bush, l'economista Amity Shlaes, alla base del successo tangibile di una politica fiscale (che è quello di raccogliere maggiori entrate grazie all'allargamento dell'economia che produce profitti e occupazione, ossia redditi tassabili) c'è la concorrenza, non la “fairness”. I governi locali e nazionali competono tra di loro su questo terreno, e quelli con un carico fiscale minore attraggono imprese e cervelli. Compito del Centro Bush sarà proprio quello di studiare le conseguenze concrete sulla crescita e lo sviluppo economico delle diverse tassazioni esistenti sul piano nazionale (in America il federalismo consente a municipalità e stati di avere imposte diverse) e internazionale. Per dimostrare che il tirare troppo la corda nell'imporre regimi tributari eccessivamente progressivi, ostili e punitivi verso i ceti produttivi, strozza la crescita reale alla faccia dei retorici obiettivi di “giustizia”. di Glauco Maggi

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