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Un'altra supercar per Bossi E spunta la vacanza ligure

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I pm interrogano le segretarie della Lega su villeggiatura e auto di grande cilindrata. Aperta la cassaforte di Belsito alla Camera

Giulio Bucchi
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La frase chiave è quella, «per soddisfare esigenze di altri soggetti». Era il modo in cui, in sostanza, l'ex tesoriere della Lega Francesco Belsito in parte giustificava la sua bulimica necessità di  reperir denari. Esigenze non certo propriamente politiche, bensì - così scrivono i pm - «personali di familiari del leader», vale a dire di Umberto Bossi.  E dunque i magistrati intendono capire se Belsito agiva in solitaria, o se delle sue attività - secondo gli inquirenti  illecite - anche altri erano a conoscenza, nel partito e finanche nei dintorni di esso. Per questo ieri sono state ascoltate due donne che certo  potrebbero fornire punti di vista interessanti. Peraltro Nadia Dagrada, responsabile amministrativa del Carroccio, era stata anche indirettamente intercettata durante conversazioni con lo stesso Belsito - normale, visto il suo ruolo.  A lei -  che uscendo dal Tribunale ha dichiarato l'intenzione di restare «fedele fino alla fine» ai suoi «capi» - sono state poste domande su circostanze precise. Per dire: due settimane di vacanza in Liguria per la famiglia Bossi al completo. E poi la famosa automobile del figlio del Senatur - e però non sarebbe quella di Renzo il Trota, ma piuttosto il macchinone tedesco dalla cilindrata spropositata in dotazione dell'altro pargolo, il secondogenito 21enne Roberto, giusto in questi giorni condannato a pagare un risarcimento di 1.400 euro per un gavettone alla candeggina lanciato a un militante di Rifondazione. Ecco: sono state pagate con soldi del partito? Perché, se così fosse, sarebbe illecito. La Dagrada ha ribattuto di non essere a conoscenze di eventuali irregolarità, «Belsito mi dava le ricevute e io mi limitavo a contabilizzarle, era lui il responsabile della cassa». E però in molti casi, nonostante per l'ex tesoriere non fosse una necessità procedurale, i documenti venivano fatti controfirmare anche allo stesso Umberto Bossi. Quasi a precostituirsi uno scudo protettivo. In questo senso, interessante è stata per i magistrati l'audizione di Daniela Cantamessa, componente della segreteria particolare del malandato leader del Carroccio - ed era già stata sentita per ore l'altro giorno, mentre ieri ha risposto anche a domande dei pm di Napoli, Woodcock in testa. Nulla è dato sapere ufficialmente, ma pare che la signora abbia suffragato la considerazione dei magistrati secondo cui è dal 2004 che i bilanci padani risultano non propriamente trasparenti. Anno, quello, della malattia che ha fiaccato il Senatur. Circostanza certo non casuale: viste le cure cui ha dovuto e si deve sottoporre, non ha certo potuto seguire con la necessaria costanza e concentrazione la situazione amministrativa del partito. Ragion per cui ha spesso delegato decisioni e incombenze alle persone a lui più vicine - e, in questo senso, non è un mistero per nessuno che la vicepresidente del Senato Rosi Mauro e la moglie Manuela Marrone abbiano in questi anni rappresentato figure essenziali nella vita di Bossi. Ma intendiamoci, questa è considerazione che nulla c'entra con l'inchiesta - anche se, per la verità, nei giorni scorsi sono state perquisite sedi del Sinpa, il sindacato padano di cui proprio la Mauro è  storica guida. Peraltro, ieri s'erano diffuse voci dell'iscrizione fra gli indagati di altri esponenti leghisti, ma nulla è stato poi confermato dai fatti. Altra cosa: sempre ieri, su richiesta dei pm di Milano e Napoli, è stata aperta in un ufficio della Camera la cassaforte riferibile sempre a Belsito - non essendo deputato, è bastata l'autorizzazione del presidente Fini. Secondo gli investigatori, è stata trovata documentazione contabile «che si presenta utile al prosieguo dell'indagine». L'esistenza della cassaforte era stata svelata da Tiziana Vivian, collaboratrice di Belsito, anch'essa sentita ieri come persona informata dei fatti. di Andrea Scaglia

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