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Con truppe in Afghanistan solo un americano su quattro

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Il ritiro dal Paese è stato fissato entro la fine del 2004. Ma il 55% degli americani vorrebbe che i soldati Usa se ne andassero prima

Matteo Legnani
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Il sostegno degli americani alla guerra in Afghanistan è sceso al 25%, il livello più basso dal 2001, quando il presidente Bush invase il paese per deporre i Talebani che avevano ospitato e protetto Al Qaeda, responsabile dell'attacco dell'11 settembre. Mentre solo uno su quattro è favorevole alla missione, una maggioranza di cittadini chiede che il ritiro delle truppe Usa avvenga prima del termine fissato dallo stesso Obama, la fine del 2014. Il sondaggio della CNN-ORC International, condotto il 24 e il 25 marzo con interviste telefoniche ad un campione di 1014 persone adulte, ha un margine di errore di tre punti percentuali. Oltre a registrare il calo costante dell'appoggio dell'opinione pubblica in generale, la rilevazione rivela per la prima volta dal 2001 che anche oltre il 50% dei repubblicani è contrario alla guerra. Tra tutti gli interpellati, soltanto il 37% ritiene che le operazioni belliche stiano andando bene nel paese islamico, mentre solo un americano su tre (il 34%) pensa che l'America stia vincendo la guerra. Su queste basi, si capisce che il 55% di chi ha risposto vorrebbe che i soldati Usa tornassero a casa prima della scadenza fissata del 2014. Il mantenimento del calendario previsto, così, è la cosa giusta da fare solo per il 22%, mentre un altro 22% ritiene che i marines debbano rimanere oltre quella scadenza. I capi del Pentagono hanno reagito ai bassi numeri dei sondaggi insistendo pubblicamente sulla necessità di avere le truppe operative sul campo di battaglia. “Non possiamo vincere le guerre con i sondaggi”, ha detto il ministro della Difesa Leon Panetta. “Se facciamo così finiamo in un brutto guaio. Dobbiamo agire seguendo quella che crediamo sia la strategia giusta per ottenere i risultati dell'intervento in cui ci siamo imbarcati. E la missione qui è di salvaguardare il nostro paese assicurandoci che i talebani e Al Qaeda non abbiano mai più in futuro un porto franco in Afghanistan”. Undici anni di impegno militare non hanno ancora raggiunto questo obiettivo, che aveva guidato l'attacco della Nato secondo le norme del trattato di alleanza dopo che gli Usa, un paese membro, era stato colpito dai terroristi senza patria ma con identificabilissimi padrini a Kabul. Alla stanchezza fisiologica si sono aggiunti negli ultimi due o tre anni fattori e segnali di diversa natura, ma tutti convergenti nel far raffreddare l'entusiasmo degli americani. La eliminazione di Bin Laden, di cui Obama si gloria a ragione ha contribuito a far pensare a molta gente che il più è stato fatto. (Barack non ha mai avuto l'onestà di riconoscere che la pista fino al capo di Al Qaeda era stata aperta dagli interrogatori duri della Cia di Bush ai militanti di alto rango trasferiti a Guantanamo, ma questo è un altro discorso). Poi ci sono i costi della missione: mentre il debito Usa è alle stelle, continuare a spendere per una guerra a difesa di un governo corrotto come quello di Karzai ha convinto tanti che è ora di andarsene. Infine, più importante di tutto, è l'atteggiamento ondivago, per dire poco, del capo del governo Usa: Obama ha aumentato le truppe su pressione dei suoi generali nel 2009 per non essere accusato di essere una “colomba” , ma ha contemporaneamente annunciato un calendario di ritiro accelerato, e a prescindere dai successi effettivi sul campo, calibrato sulla data delle prossime elezioni. E un comandante in capo che non nasconde la voglia di sgombrare prima d'avere vinto, oltre a deprimere il morale delle truppe alimenta ovviamente la voglia della gente di riavere a casa i propri cari il più presto possibile. Se non ci crede Obama, perché dovrebbero crederci gli americani? di Glauco Maggi  

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