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L'editoriale

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di Maurizio Belpietro

Giulio Bucchi
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Tutti i giornali si sono occupati delle contestazioni ai danni del procuratore di Torino, pubblicando allarmati editoriali contro chi impedisce a Giancarlo Caselli di presentare il suo libro. Anche il nostro Filippo Facci, su Libero di ieri, si è unito al coro, facendo presente solo che accomunare le critiche di un giornale agli agguati di mafiosi, terroristi e No Tav è da criminali della penna. Per quel che ci riguarda, pur non condividendo molte delle tesi del magistrato piemontese, siamo del parere che nessuno possa arrogarsi il diritto di imbavagliarlo. Che razza di Paese è quello dove qualcuno non può recarsi in una libreria a spiegare le proprie ragioni causa pericolo di disordini? Ma a quale concetto di democrazia e libertà si ispirano i manifestanti che a Milano e Genova hanno organizzato l'indegna gazzarra? Premesso dunque che siamo dalla parte del giudice, ci permettiamo però di  aggiungere alcune riflessioni in merito alla questione. Caselli non è la prima persona cui in questo Paese viene impedito di presentare un libro oppure di parlare. Se qualcuno si prendesse la briga di passare in archivio, troverebbe molti resoconti giornalistici di analoghe vicende. Qualche tempo fa, a Reggio Emilia, successe al nostro Giampaolo Pansa, il quale presentando il suo libro sugli omicidi politici nel «triangolo rosso» fu contestato e insultato da ex partigiani e giovani dei centri sociali. L'episodio fu così violento che editore e autore furono costretti a sospendere il ciclo di conferenze previste in diverse città. Un altro assalto democratico si registrò a Como tre anni fa, quando un gruppo di Grillini impedì a Marcello Dell'Utri di parlare dei presunti diari di Mussolini. La manifestazione ebbe ovviamente la benedizione di Beppe Grillo, ma anche di un leader politico come Antonio Di Pietro. Un paio di anni fa capitò  a Renato Schifani, già presidente del Senato, di essere interrotto e offeso. A Torino, durante la festa del Pd, un gruppo di scalmanati lo fischiò e gli diede del mafioso: anche in questo caso con l'approvazione dell'ayatollah genovese, il quale annunciò altre azioni del genere. I giornali ovviamente offrono molti altri episodi, in genere quasi sempre di esponenti del centrodestra o di intellettuali vicini a quel mondo. Si va da Marcello Veneziani a, più recentemente, Oscar Giannino, al quale non solo è stato proibito di raggiungere l'aula universitaria in cui avrebbe dovuto partecipare a un dibattito, ma è stato pure insultato e colpito da lanci di uova. Se citiamo l'elenco di vittime del popolo democratico che censura scrittori, giornalisti e politici al grido di liberi fischi in libero Stato è perché in occasione delle contestazioni a Pansa, Dell'Utri, Schifani, Veneziani e Giannino non ci pare d'aver registrato la levata di scudi vista in questi giorni a difesa di Caselli. Tranne qualche rara eccezione, nessuno si stracciò le vesti se a un senatore del Pdl era stato proibito di parlare e pochi vergarono allarmati editoriali. Per Schifani intervenne Napolitano, ma perché era stata zittita e insultata la seconda carica dello Stato. Le parti di Pansa furono prese da pochi giornali, altri evidentemente considerarono che il provocatore fosse il noto collega, il quale aveva voluto parlare del sangue dei vinti proprio là dove il sangue era stato sparso. La questione di Veneziani passò quasi sotto silenzio e lo stesso è capitato con Giannino. Per Caselli, al contrario, si sono mobilitati tutti, giornalisti, magistrati e autorità, denunciando il pericolo eversivo e sollecitando il ministero dell'Interno ad intervenire. Certo, ci rendiamo conto che in uno Stato di diritto se si è di sinistra, o per lo meno si è cari alla sinistra, si hanno più diritti. Mentre se si è di destra, o peggio si è considerati rinnegati perché da sinistra si sono dette cose di destra come nel caso di Pansa (ma la verità sugli eccidi è di destra o di sinistra?), di diritti se ne hanno meno.   Ciò detto, ci permettiamo una riflessione. Se oggi c'è chi contesta Caselli e gli nega la libertà di parola, anche a suon di bombe carta, e alcuni trovano normale dare del torturatore e del boia al magistrato, scrivendolo sui muri, non è che  siamo di fronte al frutto avvelenato di anni e anni di indifferenza verso altri assalti? Se tappare la bocca a un giornalista è normale, perché non dovrebbe esserlo fare altrettanto con un magistrato? Insomma, cari indignados amici di Caselli, non è che vi siete indignati un po' tardi e adesso a causa della vostra indifferenza, quando non del vostro compiacimento, il bavaglio colpisce anche voi? Per una volta provate a pensarci e a guardarvi attorno, magari rileggendo i proclami del comico che si crede il Grillo parlante. di Maurizio Belpietro

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