L'editoriale
di Maurizio Belpietro
Un lettore mi scrive: ma lei ce l'ha con Monti per partito preso! «Possibile che non ci sia nulla di quel che fa che vada bene? A sentir lei ogni cosa è sbagliata. Ma a forza di criticare il presidente del Consiglio, lei rischia di assomigliare a certi personaggi della sinistra, che a Berlusconi non gliene facevano passare una». L'accusa è da sfida a duello ma, pur toccato, al posto delle spade preferisco incrociare la penna. Innanzi tutto sgombriamo il campo da un equivoco: il premier non mi ha fatto nulla di male. Non mi ha soffiato il posto o insidiato la moglie: se lo critico non è dunque per regolare dei conti passati. Per quel poco che lo conosco ne ho stima, in quanto lo ritengo una persona seria e competente. Credo anche che in cuor suo - e dunque in buona fede - egli sia convinto di fare le cose giuste per il Paese. Purtroppo ho la sensazione che sia partito con il piede sbagliato. È come quei giocatori che, avendo sbagliato la prima mossa, poi non riescono più a recuperare e a mettersi in pari con il resto della squadra. Monti secondo me l'errore lo ha compiuto quando ha deciso di varare una stangata tutta di tasse e con pochissimi tagli. Capisco. Aveva fretta e sul collo sentiva la pressione dei mercati, con il rischio che gli investitori internazionali non comprassero più i titoli di Stato italiani. Sta di fatto che, costretto dall'emergenza, anziché ridurre gli sprechi, il presidente del Consiglio ha aumentato la pressione fiscale. Un prelievo forzoso dalle tasche degli italiani, che a distanza di pochissimi mesi sta già dispiegando i suoi negativi effetti. La gente non spende più, i consumi calano e anche l'economia italiana non sta molto bene. Si poteva evitare tutto ciò? Sì, bastava che il governo, al posto di alzare le tasse, decidesse di alzare il velo sullo sperpero di denaro dei contribuenti. Leggi e leggine che nel corso di oltre sessant'anni di Repubblica hanno dilapidato una fortuna, contribuendo a creare la montagna di debiti che rischia di travolgere il Paese. Cos'abbia deciso l'esecutivo si sa. Anziché tagliare, Monti ha preferito incassare. E nonostante quel che dica nei canali tv in cui va a fare lo struscio, lo ha fatto a carico dei soliti noti, cioè degli italiani onesti che pagano le tasse e dichiarano il giusto. Avendo sbagliato la partenza, anche il resto è andato a rotoli. Perfino il Corriere della Sera, cioè il trombettiere massimo del nuovo governo, domenica è stato costretto a scrivere che le liberalizzazioni decise sono poca cosa, spiegando ai propri lettori i dietrofront alle contestazioni delle corporazioni. Sergio Rizzo, firma di punta anticasta del giornale di via Solferino, ha sostenuto che su banche, autostrade, treni, gas e benzina, le attese sono state tradite. Al punto che dopo le entusiastiche previsioni del primo giorno, il quotidiano è stato indotto a ridimensionare la ricaduta dei provvedimenti sui portafogli delle famiglie. Se avesse saputo e voluto essere più coraggioso, il governo avrebbe dovuto provvedere a smantellare parte della burocrazia, cioè quella struttura dello Stato che è di sua diretta competenza e ciò avrebbe prodotto risparmi veri e non immaginari. Detto questo, e date a Monti le critiche che sono di Monti, devo però riconoscere che ieri, per la prima volta da quando si è insediato, ho pensato che forse l'esecutivo ne sta per fare una giusta. Mi riferisco alla riforma del mercato del lavoro che Elsa Fornero ha presentato al sindacato. Il piano si articolerebbe in cinque punti, uno dei quali riguarda la revisione degli ammortizzatori sociali. Dietro a questa brutta definizione si nasconde da sempre una serie di misure di cui fanno parte la cassa integrazione e la mobilità, ovvero tutti quegli strumenti che vengono attivati quando un'azienda va in crisi. Ora il ministro del Lavoro avrebbe intenzione di ridurre drasticamente la cassa integrazione, lasciando quella ordinaria solo per periodi brevi e abolendo la straordinaria. Perché si dovrebbe applaudire un provvedimento che toglie ai lavoratori un aiuto nel momento in cui il loro posto vacilla? In questo modo non si scaricano le difficoltà economiche sulle spalle dei ceti più deboli? In linea di principio sì e questa è la tesi che da sempre sostiene il sindacato. Ma è anche vero che ormai cassa integrazione e mobilità sono diventati mezzi con cui si nasconde la crisi sotto il tappeto. Quando chiudono la Fiat o altre aziende, oppure quando l'Alitalia si ristruttura e manda a casa alcune migliaia di dipendenti, si fa finta che il lavoro ci sia ancora, che la società non abbia serrato i battenti o ridimensionato l'attività. Risultato: invece di dire la verità ai lavoratori, li si lascia a casa per anni (sette nel caso dei dipendenti della compagnia aerea) senza far niente e con uno stipendio ridotto. Gli effetti di tutto ciò sono noti: lo Stato tramite l'Inps paga un lavoro che non c'è e rinuncia a far crescere il Pil; il dipendente messo a riposo, visto che i soldi non bastano e ha tanto tempo libero, inizia un'attività in nero, sottraendo risorse e ricchezza al Paese. Si può continuare così, rinunciando al contributo di persone che hanno cinquant'anni e poi impedendo ad altre, più anziane e con più contributi versati, di andare in pensione? Io credo di no. E questo non vuol dire mettere sul lastrico migliaia di italiani. Significa semplicemente che se un metalmeccanico perde il posto non lo si può tenere a casa promettendogli un giorno, fra cinque o dieci anni, di restituirglielo anche se già si sa che questo non accadrà. Meglio fare come in Danimarca. Chi resta senza lavoro riceve un sussidio, ma dal giorno successivo si deve sottoporre a un corso di formazione che lo orienti verso un nuovo posto. Faceva il metalmeccanico? Sì, ma ora c'è bisogno di pizzaioli e florovivaisti e questi saranno gli impieghi che gli verranno insegnati e, successivamente, proposti. Lo Stato assisterà economicamente, finché non troverà un nuovo incarico, il disoccupato. Ma se questi ne rifiuterà uno, perderà immediatamente l'indennità. In tal modo si aiuta chi è rimasto a casa, e pure l'economia. Ecco perché se Elsa Fornero terrà duro e cambierà il sistema degli ammortizzatori sociali senza farsi spaventare dalle proteste sindacali, Libero non potrà che guardare di buon occhio la riforma. Se, poi, il ministro del Lavoro leverà di mezzo anche l'articolo 18 e le tutele dietro cui si nascondono i fannulloni, prometto che quel giorno applaudirò pubblicamente Monti. di Maurizio Belpietro