Mario Giordano
Ma davvero il problema sono i movimenti no euro? In giro si sente una gran fibrillazione, telefonate che corrono bollenti, studi riservati e sondaggi che spaventano l'establishment del Continente: alle prossime elezioni europee, si dice, le forze contrarie alla moneta unica potrebbero sbancare, fare il pieno di voti e accendere la miccia che farà saltare per aria le costruzioni di Bruxelles. Per questo, contro di loro, è già partita la calunnia preventiva, la condanna anticipata, la demonizzazione lapidaria con le nuove parole d'ordine: Populista! Qualunquista! Demagogo! Basta sollevare un dubbio contro la nuova divinità unica del Sacro Euro Graal e si è subito condannati alla dannazione eterna. Senza il diritto, nemmeno, di poter aprire una discussione perché, si sa, i dogmi della fede non si discutono. Quello, però, che i sacerdoti della fede hanno sottovalutato, tutti presi dai loro miti celesti e dai loro vangeli apocrifi, è il contatto con la realtà. Perché basterebbe leggere qualche documento riservato delle grandi istituzioni finanziarie, oltre che qualche sano libro di economia, per capire che il problema dell'euro non sono i no euro, quanto piuttosto il medesimo euro. E che la moneta unica si avvia a scomparire non perché c'è qualcuno che le fa la guerra: ma perché non può stare in piedi. E non dal punto di vista finanziario o speculativo, come si è pensato finora, ma dal punto di vista della sostenibilità economico e sociale. La follia partorita a Maastricht non solo non ci ha garantito nulla di quello che avrebbe dovuto, non solo non ci ha protetto dalla crisi e dalla recessione, non solo non ha mantenuto nessuna delle sue benefiche promesse, ma ci ha condotti in un vicolo cieco da cui si può uscire solo in un modo: facendo saltare il banco. Che l'euro sopravvalutato stia provocando danni irreversibili alle nostre economie, del resto, è un dato di fatto, ormai riconosciuto anche dai più convinti sostenitori della moneta unica. Lo ha scritto in modo chiaro tre giorni fa su Repubblica uno dei maggiori conoscitori (e amici) delle politiche di Bruxelles, come Federico Fubini. E persino il Centro studi di Confindustria, cioè una delle associazioni che più si batte in nome delle scelte europeiste, nel presentare l'ultima «congiuntura flash» ha detto che «l'euro forte congiura contro la ripresa», come ha correttamente titolato, seppur in formato ridotto, il Sole 24 Ore. E dunque qualcuno potrebbe cominciarsi a porre la domanda: se l'euro congiura contro la ripresa, perché diavolo ci teniamo l'euro e buttiamo la ripresa? Come sapete diversi premi Nobel si sono espressi recentemente per l'opportunità di uscire dall'euro: gli ultimi sono stati Christopher Pissarides, già sostenitore della moneta unica, che il 12 dicembre alla London School Economics ha detto «Via dall'euro, al più presto: sta portando molti Paesi alla rovina», e James Mirrless che pochi giorni prima parlando a Venezia aveva suggerito all'Italia di dire addio alla moneta unica in fretta. Ma per molti economisti questa opportunità di scegliere neppure ci sarà: «L'euro oggi sta morendo», scrive per esempio il francese Jacques Sapir, «o si prevede un'uscita ordinata o siamo condannati a un salto nel buio». Più o meno sulle stessa linea di pensiero sono il tedesco Thilo Sarrazin, gli italiani Bagnai, Rinaldi e Borghi, per non dire del noto professore della New York University Nouriel Roubini. E l'editorialista del Financial Times, Martin Wolf, ha scritto: «La moneta unica porterà recessioni strutturali di lungo periodo nei Paesi deboli. Come potrà durare una situazione del genere?». Il meccanismo non è difficile da capire: l'euro è un sistema che non funziona, perché, come è stato abbondantemente spiegato, non si può creare una moneta unica a tassi fissi quando ci sono differenze così grandi fra i Paesi che partecipano all'Unione. In particolare nell'Unione monetaria europea è successo questo: i Paesi del Nord (Germania in testa), che avevano tassi di inflazione più bassi, hanno invaso con i loro prodotti i Paesi del Sud (Italia, Grecia, Spagna...). Se fossimo in un sistema libero questi Paesi potrebbero recuperare svalutando e diventando più competitivi: così, invece, hanno le mani legate e sono costretti ad osservare i loro mercati invasi da prodotti stranieri, che sfruttano non le loro maggiori capacità di innovazione, si badi bene, ma solo il vantaggio che si sono creati con la moneta unica. Non è un caso se la Germania ha da anni un surplus commerciale enorme che realizza per i due terzi proprio a danno dei Paesi dell'eurozona. È la politica che gli inglesi chiamano «fotti-il tuo-vicino»: la Germania sfrutta a livello mondiale tutti i vantaggi dell'euro ipervalutato (bassa inflazione, moneta forte) che sono particolarmente importanti per chi, come lei, è un Paese creditore, e nello stesso tempo scarica gli svantaggi sui Paesi più deboli dell'eurozona. Anziché fare concorrenza ai Paesi emergenti, ai cosiddetti Bric, porta loro i soldi presi a noi. E così facendo riduce noi alla povertà. Per i Paesi del Sud Europa, quelli più poveri come Italia, Spagna o Grecia, infatti, questa situazione è devastante: non possono esportare nel mondo perché c'è l'euro forte, non possono esportare nell'eurozona perché sono sopraffatti dalla Germania e dagli altri Paesi del Nord che partivano avvantaggiati, e nello stesso tempo si trovano il mercato interno invaso da prodotti stranieri. Dunque che fanno? Le imprese chiudono, i disoccupati aumentano, il reddito nazionale diminuisce. E siccome diminuisce il reddito, diminuisce anche il gettito e i conti dello Stato vanno sempre più in affanno. A questo punto arriva Bruxelles che impone misure ancora più restrittive, innescando un circolo vizioso da cui non è possibile uscire. Se non infrangendo la barriera della moneta. Stare nell'euro è «mourir à petit feu», morire a fuoco lento, ha scritto l'economista francese Alain Cotta. Siamo Dead Euro Walking, dico io: siamo nel braccio della morte monetaria, non sappiamo solo quando la sentenza diverrà esecutiva. Ma tutto ciò rende il dibattito che ascoltiamo in questi giorni, e che ancor più ascolteremo nei prossimi mesi, viziato fin dall'inizio. Il problema non è quanto ci costa uscire dall'euro: il problema è quanto ci costa rimanere dentro. Il problema non è chi vuole uscire dall'euro: il problema è che nessuno potrà trattenerci, probabilmente. La salvezza non è impossibile, anzi: tutti gli studi degli istituti finanziari sono concordi nel dire che l'Italia ce la può fare. Che l'uscita dall'euro non sarebbe quel disastro che vogliono farci credere. E che nel giro di un anno la nostra economia riprenderebbe a correre. Se fossimo furbi dovremmo scegliere quella strada. Ma forse non ci sarà bisogno di scegliere. E quella potrebbe essere la nostra fortuna. di Mario Giordano