L'Ue che piace a Letta ci ruba 500 milioni
Invece di ricevere aiuti da Bruxelles, Roma paga più di quanto incassaDue anni fa il saldo negativo era di 5,1 miliardi, oggi è 5,67
Invece che ricevere soldi in premio dalla Ue come promesso dal governo di Enrico Letta l'Italia in crisi è stata scambiata per il salvadanaio della comunità europea. Roma ha dato più fondi a Bruxelles di quelli ricevuti. Nei primi nove mesi del 2013 peggio che nei nove mesi del 2012, che già avevano peggiorato il saldo negativo del 2011. A fine settembre di due anni fa il saldo fra dare e avere con l'Europa era negativo per l'Italia per 5,1 miliardi di euro. Alla stessa data del 2012 il saldo è diventato negativo per 5,3 miliardi di euro. Al 30 settembre 2013 è andata ancora peggio: saldo negativo per 5,67 miliardi di euro. Con la situazione economica che aveva, e il divario che si allargava su tutti i parametri economici fondamentali rispetto ai 17 paesi dell'area dell'euro, invece di ricevere aiuti da Bruxelles (cosa che è accaduta a Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e per certi versi anche a Francia e Paesi Bassi), l'Italia clamorosamente ha pagato ancora più cara che mai la corda da stringere al collo del suo popolo. Una scelta suicida, incomprensibile, eppure lodata a squarciagola da quella che dovrebbe essere la sua classe dirigente. Negli ultimi tre anni infatti non si è parlato d'altro: bisogna essere virtuosi, fare quello che ci dice l'Europa, essere i primi della classe perché solo filando diritti e mettendoci in riga avremmo avuto dei vantaggi. Da tre anni prima Giulio Tremonti, poi Mario Monti e da 8 mesi anche Enrico Letta hanno suonato più o meno la stessa musica: “rigore, rigore, rigore!”. Gli ultimi due governi hanno detto e ridetto che se l'Italia fosse uscita dalla procedura di deficit eccessiva, avesse tenuto stretti i cordoni della spesa pubblica, grazie all'Europa avrebbe potuto tornare a crescere. Il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, esultò quando l'Italia fu promossa a giugno nel club dei virtuosi per essere rientrata con il deficit sotto il 3% del Pil. Disse che si sarebbe liberato una sorta di tesoretto che valeva 12 miliardi di euro: fondi europei dirottati sull'Italia per fare investimenti che sarebbero stati esclusi dal calcolo del deficit corrente. Una bella medicina. E siccome ad annunciarla era nientemeno che l'ex direttore generale della Banca d'Italia, è stato naturale credergli. Purtroppo non s'era tenuto conto della malattia che prende anche tutti i tecnici senza eccezione alcuna una volta che fanno il loro salto in politica: la panzanite acuta. Anche loro iniziano a sparare panzane come i colleghi di lungo corso che vivono in perenne campagna elettorale, e Saccomanni non è sfuggito all'epidemia che già aveva stroncato i suoi illustri predecessori. I 12 miliardi di euro annunciati erano pura fantasia contabile. Non sono mai esistiti, e infatti non si sono visti né in questi mesi né nei prospetti della legge di stabilità che arrivano fino all'anno 2017. Passando i mesi anche la panzana originaria si è un po' rimpicciolita: annunciando la nuova legge di stabilità il presidente del Consiglio aveva ridotto a modica quantità la panzana originaria sostenendo che il premione originario da 12 miliardi sarebbe stato di 3 miliardi per il 2014. Come tutti gli annunci di Letta anche quello è andato in fumo: non esistono nemmeno i 3 miliardi. In compenso l'Italia che aveva versato come tassa all'Unione europea 11,7 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2011, ne ha versati 14,9 negli stessi nove mesi del 2013. Eccoli i 3 miliardi del “premio”. Solo che non si trattava del premio “virtuoso dell'anno” che l'Europa a sentire Letta avrebbe dato all'Italia. Ma del premio “fregati del secolo” che Roma ha pagato a Bruxelles, svenandosi in un periodo in cui quei soldi sarebbero dovuti servire a dare un po' di ossigeno a un popolo oramai boccheggiante. Una rapina che ha dimostrato oltretutto come Letta & c non contino un fico secco in Europa, e invece di difendere il paese che guidavano, lo hanno fatto prendere a schiaffi. L'Italia infatti paga alla Ue dei contributi sullo zucchero, dei dazi doganali, una quota Iva e una quota che va trattata con Bruxelles di quello che viene chiamato “Reddito nazionale lordo (Rnl)”. Ora sono proprio le voci Iva e quelle Rnl ad essere aumentate in questo biennio, quando sarebbero dovute invece diminuire sensibilmente perché questo è accaduto agli incassi Iva italiani e al Pil, che è assai simile al Rnl. Perché non è accaduto? Perché prima Monti e poi Letta sono stati belli zitti a subire un ricalcolo delle percentuali che la Ue ha fatto accettando una correzione al ribasso degli impegni del Regno Unito e una sensibile riduzione della quota Rnl di Paesi Bassi e Svezia che è stata messa in conto all'Italia… di Franco Bechis