Franco Bechis
È stato il cuore più politico del discorso di Silvio Berlusconi all'atto di rifondazione di Forza Italia: l'euro e chi ormai ne è il simbolo di ogni aspetto negativo, il cancelliere tedesco Angela Merkel. Non sono nuovissime le critiche del Cavaliere alla moneta unica, ma in passato nel mirino era finito il cambio con la lira e soprattutto l'uomo che in Italia aveva simboleggiato quella nuova moneta sempre risultata ostica alla popolazione: Romano Prodi. Ieri l'attacco è stato più profondo, visto che Berlusconi ha accusato la stessa Europa (Merkel e Sarkozy in particolare) di avere cercato di mettere in ginocchio il suo governo, la Fiat (a cui volevano imporre una supertassa sulle emissioni) e l'Italia intera. Si capisce così come da destra, dopo che il Paese era stato messo in ginocchio di fronte alla Merkel da chi lo ha guidato (Mario Monti), il cuore delle prossime campagne elettorali sarà proprio quello anti-Europa, sia che gli eventi precipitino e si debba alle urne per il rinnovo del parlamento nazionale, sia che il prossimo voto in calendario sia quello di primavera per il Parlamento di Strasburgo. Se anche Forza Italia si tradurrà in «Abbasso Europa», la maggiore parte delle forze politiche nazionali rifletteranno il sentimento anti euro che ormai sembra essere prevalente nell'elettorato italiano. Certo, gli accenti saranno diversi, ma in questo momento la difesa degli attuali assetti europei e della moneta unica rischia di cadere sulle esclusive spalle del Pd, diventando una zavorra assai difficile da portare sulle spalle. Contro l'Europa di Bce e Merkel è schierato da non poco tempo Beppe Grillo con il Movimento 5 stelle, portato anche a rifiutare di onorare il debito pubblico italiano. Dicono no a questa Europa anche Lega Nord e Fratelli di Italia, e certo non simpatizza per Bruxelles la sinistra radicale che per quanto frammentata rappresenta ancora una fetta rilevante di opinione pubblica. Tenendo presente i sondaggi di oggi, sulla linea anti-Europa potrebbe posizionarsi la fetta decisamente più rilevante della popolazione italiana, ben più di un elettore su due. Le sfumature sono appunto diverse, più radicali e globali quelle dei grillini, ancora in culla quelle berlusconiane che hanno fatto la loro prorompente apparizione ieri all'Eur. Ma c'è un filo comune che certamente lega saldamente Berlusconi, Grillo, Maroni, Crosetto e Meloni e la sinistra radicale: l'opposizione radicale al trattato sul fiscal compact che entrerebbe in vigore effettivamente fra il 2015 e il 2016. Il Cavaliere ha un handicap evidente su quel tema: il trattato porta la firma sua e dell'allora ministro dell'Economia, Giulio Tremonti (ora vicino alla Lega). Non a caso ieri ha provato a mettere le mani avanti, sostenendo che quella firma gli fu strappata con una sostanziale pistola alla tempia, e che comunque lui era riuscito a fare inserire nei protocolli aggiuntivi delle considerazioni particolari sulla ricchezza privata degli italiani e sull'esistenza di un Pil sommerso in particolare nel Sud di cui si dovrebbe tenere conto al momento di applicare le norme. Il Cavaliere deve avere un po' esagerato nella sua esposizione, dove ha sostenuto in fondo che il debito italiano andrebbe messo a confronto con la ricchezza ufficiale del Paese (Pil) aggiungendovi anche il pil meno ufficiale di mafia, camorra e ‘ndrangheta (sarebbe quello il sommerso del Sud). Difficile che l'Unione europea possa accettare un calcolo di questo tipo, e comunque non risulta sia passato in alcun atto ufficiale al momento noto. Ma al di là della foga oratoria in cui si volevano minimizzare le responsabilità personali, Berlusconi ha chiarito come contro un fiscal compact che pretendesse di fare rientrare l'Italia dal debito con manovre annuali di 40-45 miliardi di euro, è pronto a schierare le sue truppe e a chiedere il consenso degli elettori. Sarà il tiro a segno sull'Europa dunque il cuore delle prossime campagne elettorali. E sarà anche questo il fronte più scoperto del Pd, chiunque ne abbia la guida. di Franco Bechis @FrancoBechis