Giampiero Mughini
Stando ai sondaggi l'85 per cento dei francesi reputa che i loro calciatori fanno malissimo a scioperare contro la norma voluta dal capo dello Stato, il socialista François Hollande, che impone una tassa del 75 per cento sulla quota di stipendio annuo eccedente il milione di euro. E mi pare che tra questi «indignati» ci sia addirittura Michel Platini, il quale avrebbe mugugnato contro i calciatori che guadagnano già così tanto e che pure fanno casino (niente calcio il prossimo week-end negli stadi francesi). In realtà le tasche dei (pochi) giocatori di Francia che guadagnano quella cifra - e tra loro alcuni nomi ben noti al pubblico italiano, dall'ex milanista Thiago Silva all'ex tutto Ibrahimovic all'ex napoletano Lavezzi - non corrono alcun pericolo in ragione di quella norma e difatti non sono loro ad aver voluto quello sciopero. In realtà i calciatori sono gli unici professionisti al mondo che firmano un contratto con una cifra che si intende netta, quella è e quella deve restare pur in presenza di un aggravio fiscale. Per tornare a Ibrahimovic, lui ha firmato per uno stipendio di 14 milioni di euro annui. Quelli sono e quelli devono restare cada pure il mondo. Il che significa che la squadra che lo ha così sontuosamente assunto, quel Paris-Saint Germain rispetto alla cui capacità di spesa l'Inter morattiana dei tempi d'oro era una squadretta di pezzenti, deve dare a lui i 14 milioni di cui ho detto e allo Stato francese il 75 per cento dei 13 milioni che eccedono il primo milione e dunque la bellezza di altri dieci milioni di euro o poco meno. Fatti i calcoli, lo straricco club parigino dovrà pagare al fisco 20 ulteriori milioni di euro l'anno. Cifre che non faranno perdere il sonno a quello che dal 2011 ne è il proprietario, lo sceicco del Qatar. Solo che non tutti i proprietari dei club francesi di serie A fanno di mestiere gli sceicchi. Sono loro che hanno indetto lo sciopero, loro che fanno da architrave di un'industria del calcio che dà lavoro a 25mila persone. 13 di quei 18 club sono a rischio fallimento se dovessero pagare (loro e niente affatto Ibrahimovic e compagnia giocante) l'aggravio fiscale da cui siamo partiti. Se dovessero prendere dall'oggi al domani una mazzata che annichilisce bilanci già pesantemente in rosso. Di questo si tratta, semplicemente di questo. Semplice semplice. Mi direte, peggio per loro. Peggio per un'industria che si è data come correnti cifre da nababbi che solo gli sceicchi e i loro similari possono sostenere, cifre che hanno un'aura irridente nei confronti di chi lavora in industrie meno spettacolarizzate. Solo che se avviamo questi discorsi, e magari sugli stipendi pagati ai più «eccellenti» giocatori della serie A italiana, non la finiamo più. E a parte il fatto che quelle cifre sono determinate in buona parte dall'essere il calcio lo spettacolo televisivo più clamoroso di tutti. In Italia come in altri Paesi. A milioni e milioni guardano le partite, a decine e decine di migliaia vanno negli stadi. Ne consegue l'indispensabilità di figure alla Totti o alla Buffon o alla Miguel Higuain. Se milioni di persone alla domenica spegnessero il canale televisivo dove i fatidici 22 uomini in mutande rincorrono un pallone e accendessero un canale dove invece vengono letti i versi di Guillaume Apollinaire o di Gabriele d'Annunzio tutto cambierebbe in fatto di stipendi eccetera. Ma fermiamoci qui, tale è l'evidenza di tutto questo. Afferriamo l'altro corno della faccenda. Se sì o no uno Stato, com'è adesso quello francese, abbia il diritto di portarti via fino al 75 per cento di un reddito da lavoro. So di incorrere nella riprovazione del professore Luciano Gallino, uno dei più grandi esperti di storia industriale italiana di cui sto leggendo un bel libro in un cui un po' si lamenta che l'aliquota marginale sui grandi redditi sia scesa rispetto all'80 per cento degli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale. Dissento rispettosamente dal professor Gallino. A me un'aliquota del 75 per cento appare come idiota e vessatoria, una rapina a mano disarmata dove il rapinatore non corre alcun rischio. Peggio, una decisione controproducente e in Francia lo si è visto già al tempo della decisione di Gérard Depardieu di andare a fissare la sua residenza in Urss, un Paese niente affatto sopraffino in fatto di diritti civili ma che il diritto di goderti una quota giusta del tuo reddito (diciamo il 50 per cento) te lo lascia. Depardieu non era affatto un evasore. Pagava un fottìo di soldi di tasse, com'era giusto che fosse. Amava il suo Paese e contribuiva mica male al suo funzionamento civile. Ha preso e se ne è andato. Assolutamente quello che avrei fatto io fossi stato al suo posto. Ne sta parlando uno che in fondo la pensa come l'ex ministro Tommaso Padoa-Schioppa, che l'aver pagato le tasse ti rende orgoglioso. Ho detto aver pagato le tasse, non essere rapinato. Se c'è la rapina, c'è il diritto alla legittima difesa. Calciatori e non. Tutti. Fuggi, ti sottrai, paghi di meno altrove. Semplice semplice. di Giampiero Mughini