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Ecco il piano Berlusconiper fermare la decadenza

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L'ex premier vuole fermare la Giunta fino al risultato del ricorso E spera ancora nel voto segreto

Matteo Legnani
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A farsi meno illusioni di tutti era al solito stato lui, Silvio Berlusconi. Il quale ieri ha accolto con calma olimpica la notizia dell'avvenuto ricalcolo da parte dell'Appello dell'interdizione dai pubblici uffici, fissata a due anni . «Perché, vi aspettavate qualcosa di diverso?» ha risposto a chi è riuscito a raggiungerlo per manifestargli solidarietà. È d'altronde da parecchio tempo che il Cavaliere ha smesso di riporre speranze nella magistratura: immaginare le toghe che mollano l'osso a un metro dal traguardo sarebbe irrealistico. Molto meno lo è, per l'ex premier, lavorare sull'altro fronte della decadenza: quello di Palazzo Madama. Qui di speranze il Cavaliere ne ha. Derivano dalle fibrillazioni in corso nel Pd e in Scelta civica e dai possibili effetti che questi potranno avere in giunta del Regolamento. Sul calendario di Silvio c'è già la data cerchiata in rosso: 29 ottobre. Per quel giorno la giunta è infatti convocata per discutere della questione voto segreto vs. voto palese. La vicenda è nota: Pd e Cinque stelle stanno promuovendo una inedita forzatura regolamentare affinché sulla decadenza del Cav ex legge Severino si proceda a scrutinio palese onde azzerare le possibilità che nel segreto dell'urna chi di non dovere abbia a votare a favore dell'ex premier. Berlusconi, superfluo dirlo, considera la cosa inaccettabile. Già la legge Severino non smette di lasciarlo - eufemismo - assai perplesso («Bisogna riconsiderare quella norma», va ripetendo), che poi la si voglia applicare cambiando le regole in corsa a maggior gloria dell'esemplarità dell'esecuzione lo manda su tutte le furie.  A differenza che negli ultimi giorni, tuttavia, i segnali che arrivano dal Palazzo iniziano a farsi meno foschi. Nel fronte per il voto palese, che fino a poco tempo fa pareva compatto, affiorano le prime crepe. Al punto che i numeri in giunta iniziano ad essere in bilico. Il senatore sudtirolese Karl Zeller, contattato dall'agenzia Agi, annuncia di essere per il voto segreto. Mezza apertura anche dalla montiana Linda Lanzillotta, che fa sapere di volere aspettare di sentire le due relazioni (Franco Russo per il Pd e Anna Maria Bernini) per poi decidere anche «sulla base dei precedenti». Questo il quadro, il risultato va sul filo (contando Zeller e Lanzillotta starebbe già sette a sei per il voto segreto). Sventare l'assalto in giunta sarebbe il miglior viatico per arrivare in aula. Un braccio di ferro vinto contro pronostico rappresenterebbe la posizione di massima forza e consentirebbe di sfruttare al massimo le divisioni interne al Pd, la cui fase precongressuale si va rivelando più sanguinolenta del previsto. Il tutto senza contare il capitolo calendarizzazione: che il voto finale in aula venga fissato prima dell'esito del ricorso in Cassazione è tutt'altro che scontato (l'ipotesi non dispiacerebbe al Cav, come testimoniato dalla richiesta avanzata da più di un senatore azzurro affinché si sospenda l'iter parlamentare della faccenda in attesa del responso della Corte). Per ottenere risultati, però, è vitale che il Pdl mostri la solidità che manca agli altri partiti: «Se superiamo le nostre divisioni», catechizza i suoi il Cavaliere, «emergeranno le spaccature nel Pd e negli altri schieramenti». Per questo, la pratica partito procede nel segno del basso profilo. Niente accelerazioni o strappi che possano avere contraccolpi su alfaniani (o “innovatori”, come hanno scelto di battezzare la propria area) e lealisti. Sullo sfondo resta il Consiglio nazionale, la cui convocazione si renderà necessaria per approvare qualsivoglia modifica statutaria. Ma per ora non c'è nessuna fretta. La partita della vita è un'altra. di Marco Gorra

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