souad sbai
di Souad Sbai «Con una furbizia orientale, tipica delle sue origini». Con queste parole la dott.ssa Ilda Boccassini, pm del processo «Ruby», descrive nella sua accorata requisitoria alcuni atteggiamenti di Karima el Mahroug. A suo dire connaturati al mondo da cui proviene... «Il peggio, nel peggio, è l'attesa del peggio», diceva Daniel Pennac. E come dargli torto. Abbiamo atteso quattro giorni, dott.ssa Boccassini, un Suo chiarimento su quella frase. Che alle nostre orecchie, forse proprio in virtù di quella presunta furbizia a noi congenita, è suonata pesantissima. Ci siamo domandate se pronunciare ossessivamente la parola «marocchina» fu intenzione voluta o leggerezza dovuta alle lunghe ore di requisitoria. La fiducia che riponevamo nella seconda ipotesi si è rivelata, purtroppo, mal riposta e da qui ripartiamo. Lei, come noi, vive in un Paese che fa degli stereotipi e dei luoghi comuni un vizio di forma a cui non corrisponde mai, però, l'annullamento del pensiero «laterale» che ne deriva. Lo sanno bene gli abitanti di Napoli, che noi amiamo, ma che in molti associano alle cattive abitudini di qualcuno... Ci stupisce, dunque, il silenzio di pietra che ha caratterizzato, seppure fra varie esortazioni, i giorni che seguono quell'episodio. A parte la precisazione, a noi non dovuta, del dott. Bruti Liberati, che a nome della Procura ha declinato ogni responsabilità. Noi, che viviamo in Italia con la testa e non solo con i piedi, sappiamo bene che la responsabilità è personale. Ci permetta però, prima di andare al cuore del problema, di illustrare in due righe quella cultura che è entrata prepotentemente in scena dopo le Sue parole. La cultura orientale, mediorientale, araba o nordafricana nulla ha a che fare con quel concetto di «furbizia» che Lei ha inteso far assurgere a conditio sine qua non di certi atteggiamenti; trattasi di pensieri strutturati, peraltro ancora in evoluzione, che portano in sé radici antichissime e sapienti, costellate di sangue e gioie, letteratura e guerre, poesia e lacrime. Nulla di più, nulla di meno di quella cosiddetta «occidentale». Allora perché quelle parole così offensive verso tutte le donne orientali? Perché nessun ravvedimento? Seppure intuendo quale associazione di idee esse avrebbero potuto suscitare nelle comunità straniere e negli italiani, che vivono, purtroppo, di una certa cattiva comunicazione e di cattivi maestri. Di ieri e di oggi. Ma non solo Lei, forse, ha rimosso quelle parole. Da chi, fra le elite femminili di orientamento progressista, ha sempre sostenuto che le presunte «culture» giustificano anche palesi violazioni ai diritti delle donne, non ci aspettavamo nulla. E nulla è arrivato, come da copione. Ma da quelle che millantano di ispirare la propria attività, politica e sociale, alla dottrina liberale e alla tutela dei diritti inviolabili, il silenzio è stato ancor più dilaniante. L'amara realtà è che ancora una volta abbiamo sperato e abbiamo sbagliato ancora: pensavamo di essere sole, ma non fino a questo punto. Per cui nessuno stupore dal suo silenzio, lo avevamo messo in conto da subito e sapevamo che esso avrebbe trovato le giuste sponde, dirette e indirette. Del resto, ormai è chiaro, un solo ossessionante e morboso fine giustifica qualsiasi mezzo. Anche la sottile ma devastante criminalizzazione di una cultura o di una etnia che in questo Paese vede più donne morte, massacrate o segregate che in qualsiasi altro Paese europeo.