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Mario Giordano

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Andrea Tempestini
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di Mario Giordano E alla fine persino lui, il rottamatore Renzi, s'è buttato in grembo all'Ingegnere come tutti gli aspiranti leader del Pd.  E in cambio ne ha ricevuto il solito affettuoso bacio della morte: «Matteo è l'unico leader spendibile», ha detto Carlo De Benedetti. Lo aveva detto anche di Bersani. E prima di Franceschini. E prim'ancora di Veltroni.  A nessuno di loro, va detto, cotanto appoggio ha portato bene. A un certo punto De Benedetti si era persino messo in testa di fare di Saviano il leader della nuova sinistra. Lo tenne a battesimo in un'infuocata adunata al Palasharp di Milano. Da quel momento è cominciata la crisi profonda  dello scrittore. Il rottamatore Renzi, evidentemente, non se ne cura. Deve aver rottamato la scaramanzia. Solo quella, però. Perché, per il resto, beh, non pare ci siano molte novità in un aspirante segretario del Pd che si fa benedire l'ascesa dal vecchio patriarca, il 79enne re Carlo, padrone di Repubblica e plenipotenziario del pensiero politicamente corretto, il cittadino svizzero che è passato attraverso gli scandali italiani del Novecento, dal Banco Ambrosiano alle tangenti alle Poste, con il vanto di aver costruito un'immensa fortuna per sé e al massimo qualche maceria (vedi Olivetti) per il Paese. Lo hanno fatto anche gli altri, in fondo è sempre la solita minestra: la tessera numero uno del Partito democratico decide, tutte le altre tessere possono anche andare a giocare a pallacorda ai giardinetti. Segretario compreso. Niente di nuovo sul fronte sinistro. Anche le proposte di reggenza in attesa del congresso profumano di novità come una cantina ammuffita. Le avete sentite? Gianni Cuperlo, cioè un D'Alema senza baffi e senza carisma, e Guglielmo Epifani, cioè l'ex segretario della Cgil. Non è meraviglioso? Hanno passato un intero inverno a parlare di rinnovamento, ringiovanimento, cambiamento e tutti gli altri “-ento” che vuoi, e poi alla prova dei fatti si stanno dividendo nella scelta drammatica: meglio un dalemiano o uno della Cgil? Poffarbacco, questo sì che è guardare al futuro:  avanti di questo passo e per la prossima rottamazione qualcuno proporrà  Amedeo Bordiga segretario. E nel frattempo, sia detto con rispetto, Bersani dove lo mettono?  In attesa del nuovo congresso, che si annuncia piuttosto lontano nel tempo, che fa il segretario sconfitto?  Continua a esercitare il mestiere del dimissionario?  Ascolta Renzi che lo sfotte ogni giorno con la storia del giaguaro? Gioca a tresette con Gotor?  Si ritira nel convento, come il buon Ratzinger, per non dare fastidio al suo successore? Dopo la stagione dei due Papi in Vaticano, avremo quella (si parva licet) dei due Papi nel Pd?  Vedremo Pier Luigi che si aggira senza meta, come un fantasma che non riesce a trovare pace, mentre la brutta copia di D'Alema (o il supplente della Camusso, poca differenza fa)  provano a muovere fra mille imbarazzi quel che resta dell'esercito sbandato? Niente di nuovo sul fronte sinistro. Regna il caos, infatti. Anche questa abitudine di spararsi addosso, è un déjà vu: Prodi (fondatore del Pd) l'hanno impallinato due volte, prima da presidente del Consiglio e poi da presidente della Repubblica, e D'Alema (leader storico del Pd) figuriamoci: deve avere perso il conto di quante volte gli hanno tagliato la strada. Ma non c'è leader democratico importante (da Amato a Veltroni, da Rutelli a Marini) che non abbia sopportato sulla propria pelle le ferite del fuoco amico. E adesso che hanno come premier il loro ex vicesegretario, li vedete? Non stanno nella pelle. Appena possono gli danno addosso. Ma sì, continuiamo così, facciamoci del male. Lo diceva già Nanni Moretti tanti anni fa, e non è cambiato nulla sul fronte sinistro. A volte danno l'impressione di restare insieme solo perché non hanno la forza (o le palle) di dividersi. Però continuano a replicare gli stessi gesti, gli stessi errori, le stesse liturgie.  Gli stessi fantasmi. Compresa la cultura del sospetto,  come quella che traspare dall'incredibile intervista che ieri Veltroni ha rilasciato al Corriere. Una spataffiata di una pagina, piena di luoghi comuni e annunci non del tutto spiazzanti (sta per uscire un altro suo libro, ma va là), ma con una chicca davvero notevole nella colonna centrale. Lì, infatti,  Valterino l'amerikano  si toglie la camicia Brook Brothers e indossa il cappuccio di Beppe Grillo, lasciando intendere che la mano di Luigi Preiti, lo sparatore di Palazzo Chigi, potrebbe essere stata armata ad arte con l'intento di fermare il Movimento Cinque Stelle.  Ma da chi? Chi può avere interesse a mettere in cattiva luce  i grillini che contestano Letta? I servizi segreti? I servizi segreti deviati? Il medesimo Letta? Una parte del Pd? Gli alleati Pdl? La Trilateral? Bilderberg? La finanza internazionale? Washington? James Bond? Mata Hari? Diabolik?  Veltroni  non risponde. Ma per giustificare  la sua dietrologia, tira fuori tutto l'armamentario storico del sospetto democratico: Valpreda, Piazza Fontana, la strategia della tensione, Pasolini, Pelosi, Ustica, l'anarchico Bertoli che non era anarchico e l'agenda rossa di Borsellino. Non manca proprio nulla per ripetere la stessa solfa (perdente) degli ultimi trent'anni. Nemmeno il bacio di De Benedetti: solo che quello Veltroni non lo può citare.  Stavolta se l'è preso Renzi.

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