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Se raccontare la malattiaaiuta il paziente a guarire

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La narrazione della sua esperienza può offrire al malato l'opportunità di farsi capire meglio dal medico.

Maria Rita Montebelli
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Medico e paziente? Si parlano troppo poco: le attuali modalità di cura fortemente condizionate dall'uso delle tecnologie e dalla attenzione alla cosiddetta ‘Medicina Basata sulle Evidenze' hanno decisamente spersonalizzato il ruolo dei due principali attori in campo. Dovremmo quindi cambiare rotta? Probabilmente no: i due approcci possono completarsi, muovendo qualche passo in più dal ‘curare' al ‘prendersi cura'. E' quanto è emerso dal recente convegno di Cagliari "La medicina narrativa è un modo di pensare?", che ha aperto una riflessione su un mondo fatto di strumenti, esperienze ed emozioni spesso estranee al ‘fare salute', ma che sono essenziali per riportare al centro i protagonisti. “La narrazione, in forma orale o scritta, può offrire uno strumento prezioso al malato per ‘risignificare' questa esperienza traumatica ed aiutarlo a ricostruire la nuova identità che ne scaturisce – sostiene Antonio Onnis, l'organizzatore del convegno – narrare l'esperienza di malattia è una strategia che può aiutare il paziente a rimettere insieme "i suoi pezzi", le parti di quel sé che la malattia ha spesso prepotentemente frammentato. L'atto narrativo, dalle preziose potenzialità terapeutiche, è però reso possibile non solo dal soggetto che racconta la malattia, ma anche da quello che la ascolta: il medico, lo specialista o l'operatore sanitario”.   La ‘medicina narrativa' rappresenta, in primo luogo, uno strumento importante per promuovere una maggiore centralità del paziente nei processi di assistenza e cura, riconoscendo la sua soggettività, la sua volontà di sapere della malattia di cui soffre e delle scelte terapeutiche a disposizione, la sua autonomia decisionale nel partecipare consapevolmente alla gestione della proprio percorso di cura. Una relazione medico-paziente improntata al riconoscimento di questa maggiore centralità del malato è, dunque, indispensabile per costruire un'alleanza terapeutica vera, riducendo l'abbandono o la non aderenza alla terapia prescritta. Le indicazioni cliniche del medico si fondano su conoscenze scientifiche, ma perché si possano trasformare in comportamenti è, infatti, necessaria la collaborazione del paziente: occorre, cioè, che tali indicazioni siano comprensibili, accettabili e praticabili nella vita quotidiana. Ed è qui che entra in gioco la ‘medicina narrativa': in assenza di una narrazione da parte del malato, il medico non ha elementi per affrontare queste componenti essenziali, legate appunto al vissuto e alla soggettività del paziente, e costruire, di conseguenza, un'efficace alleanza terapeutica.  In questo quadro s'inserisce la campagna ‘Viverla tutta' promossa da Pfizer con l'obiettivo di incentivare l'impegno in medicina e in sanità di metodiche e strumenti volti, appunto, a promuovere una maggiore centralità del paziente: “Nell'ambito dell'iniziativa – precisa Stefania Polvani, Direttore di Educazione alla salute, Asl 10 di Firenze – è stato avviato un progetto di ricerca che vede la collaborazione del ‘Centro nazionale malattie rare' dell'Istituto Superiore di Sanità con la Asl 10 di Firenze e la European Society for Health and Medical Sociology (Eshms) per giungere all'individuazione ed elaborazione di raccomandazioni per promuovere l'integrazione tra le due medicine: quella basata sulle evidenze e quella, appunto, narrativa. (PAOLO BIANCHI)

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