editoriale
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Uno perché chiama i tecnici? Perché, essendo esperti, presume che sappiano dove mettere le mani. È con questa motivazione che Giorgio Napolitano ha nominato Mario Monti e i professori. Ed è per questa ragione che gli italiani li hanno accolti con tanto entusiasmo. Spaventati dalla crisi, hanno pensato: ecco finalmente qualcuno che sa come salvarci dalla bancarotta. La fiducia nelle capacità del nuovo governo ha indotto a sopportare anche sacrifici che nessuno pensava di poter sopportare, come, a esempio, lìinnalzamento dell'età pensionistica e la stangata sulla prima casa. Però, con il passar del tempo, sempre più persone si domandano se i tecnici siano davvero tecnici e non una banda di pasticcioni che procedono per tentativi, cercando di individuare i tasti giusti da pigiare nella stanza dei bottoni. Un forte contributo a generare i sospetti l'ha dato per prima Elsa Fornero, la più esperta dei ministri esperti. A lei è toccato occuparsi di pensioni, materia che studia sin da quando andava all'asilo. Appena arrivata al vertice del ministero del Welfare, infatti, la signora della previdenza ha sfornato una riforma che nessuno si sarebbe aspettato, (...) (...) decretando per tutti il ritiro a 65 anni. Un colpo che ha fatto sgranare gli occhi ai più, convincendoli che questi tecnici non erano come chi ci stava prima, ma una volta deciso, zac, tagliavano senza indugi e, soprattutto, senza pensarci su. I dubbi sono arrivati alcuni mesi dopo, quando si è capito che la manovra senza freni di Elsa Fornero si era dimenticata non di una o dieci, ma di 350 mila persone. Gente che, lasciato il lavoro sulla base di un accordo ratificato anche dal governo, non aveva più diritto alla pensione perché con la nuova legge poteva lasciare il lavoro solo a 65 anni. Così, a causa di questi pensionati di nessuno, che non hanno né il vitalizio né lo stipendio, nei conti dei professori si è aperto un buco da 15 miliardi, grosso modo l'equivalente di metà della prima manovra Monti. Ma Elsa non è la sola ad aver sbagliato a fare i calcoli. Sul suo esempio anche altri colleghi l'hanno seguita. Tra questi Vittorio Grilli, prima ragioniere generale dello Stato e poi direttore del ministero dell'Economia. Quando si è trattato di fare cassa e trovare i soldi necessari a tranquillizzare i mercati, i suoi uffici al ministero hanno partorito la brillante idea di tassare gli scudati, ossia gli evasori che avevano regolarizzato i loro soldi usando lo scudo fiscale. Sin dal principio l'idea è parsa balzana, non solo perché a chi aveva usufruito del condono il Fisco aveva garantito di non avere altra pretesa, ma anche perché gli scudati erano per definizione anonimi. Come si fa a tassare qualcuno che non si sa chi sia e che per giunta agisce dietro una fiduciaria, spesso estera? La faccenda era apparsa subito complessa ai più, ma Grilli e i suoi sembravano sicuri del fatto loro, al punto da aver iscritto a bilancio i ricavi della nuova imposta. Peccato che a distanza di cinque mesi la legge sia già stata modificata tre volte e la data del pagamento spostata più in là, in attesa di riuscire a escogitare un espediente per costringere gli scudati a versare. Sempre al Grilli pensante va ascritto il merito della normativa sull'Imu, autentico rompicapo che a distanza di poche settimane dal pagamento dell'imposta non è ancora stato risolto da nessuno. Una volta pensavamo che complicare le cose fosse una specialità della casta di burocrati ministeriali, oggi scopriamo che, quando si applicano i professori, sono insuperabili. Meglio di chiunque altro ha però fatto Mario Monti, che, essendo il numero uno, ha surclassato tutti i suoi ministri. Il suo compito era quello di mettere in sicurezza i conti e di tranquillizzare i mercati. A cinque mesi di distanza, a seguito dei suoi interventi possiamo constatare che: 1) il debito pubblico ha raggiunto quota 2 mila miliardi, la cifra più alta mai raggiunta; 2) a causa della caduta del prodotto interno lordo, il rapporto debito-pil ha superato la quota record del 123 per cento; 3) per rimediare ai guasti di cui sopra serve un'altra manovra che oscilla tra i 20 e i 100 miliardi. Come se non bastasse, appena arrivato a Palazzo Chigi aveva subito alzato le tasse sulla benzina, convinto di recuperare con il pieno un po' di soldi. A distanza di pochi mesi, la brillante pensata ha già prodotto i suoi effetti: un drastico calo dei consumi di prodotti petroliferi che si è tradotto in minori entrate per il Fisco, stimate in 3,3 miliardi. Ma la prova che peggio dei politici sanno fare solo i tecnici la si è avuta ieri, quando, dopo mesi di sollecitazioni a tagliare la spesa pubblica (unico vero sistema per risanare i conti dello Stato, come Libero ha scritto fin dal primo giorno), il governo si è alla fine deciso a convocare un consiglio dei ministri per presentare le sue proposte di spending review, cioè di revisione della spesa. Tutti quanti eravamo convinti che dopo quasi sei mesi di pensamenti, affidati a un signore che da 25 anni studia la spesa pubblica, Monti si sarebbe presentato con l'elenco delle voci da sforbiciare. E invece no. L'esecutivo si è riunito solo per nominare un commissario alla spesa pubblica, cioè per distribuire un altro incarico e un altro stipendio. Enrico Bondi, signore per bene e grande manager cui solitamente vengono affidate le imprese disperate (l'ultima è stata Parmalat), dovrà occuparsi dei tagli: obiettivo, recuperare 4 miliardi, più o meno ciò che Monti ha perso alzando le accise sulla benzina. In pratica, una presa per i fondelli. Altro che esperti docenti, questi sono ministri indecenti.