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Un anno fa il referendum in Catalogna, attivisti bloccano strade

domenica 7 ottobre 2018
2' di lettura

Roma, (askanews) - Strade, autostrade e linea dell'alta velocità bloccate in Catalogna in occasione del primo anniversario del referendum sull'indipendenza della regione spagnola. "Tutto iniziò il 1 ottobre e tutto torna al 1 ottobre, quando abbiamo deciso insieme e democraticamente la nostra autodeterminazione, che è la cosa più grande che un popolo possa fare quando è libero", ha detto oggi il presidente della regione, Quim Torra, in una cerimonia in cui è stato issato un grande striscione che recita "Non dimenticare, non perdonare". Centinaia di indipendentisti dei Comitati di Difesa della Repubblica, alcuni col volto coperto, hanno bloccato i binari della stazione di Girona, 100 chilometri a Nord-Est di Barcellona, interrompendo la linea ad alta velocità che collega Figueres a Barcellona. Il traffico è stato poi ristabilito intorno alle 9.45, mentre sono state bloccate anche le principali strade a Barcellona e Lleida, così come le autostrade A7, tra Barcellona e Valencia, e la A2, che collega la metropoli catalana a Madrid. I militanti hanno anche rimosso la bandiera spagnola dalla sede del governo regionale a Barcellona. Le proteste sono state organizzate dai Comitati di Difesa della Repubblica, assemblee popolari di base diffuse su tutto il territorio della Catalogna per facilitare lo svolgimento del referendum dello scorso anno, vietato da Madrid, e che ora chiedono la rottura con lo Stato spagnolo: "Un anno fa abbiamo votato per l'indipendenza... agiamo", si legge sull'account Twitter dell'organizzazione. Nel suo discorso, Torra ha elogiato le azioni degli attivisti, affermando che stavano "facendo bene a fare pressioni". Sabato scorso, Barcellona è stata teatro di disordini, con 24 persone ferite e altre sei arrestate, per gli scontri tra attivisti e polizia. Il 1 ottobre dello scorso anno il governo catalano, allora guidato da Carles Puigdemont, tenne un referendum sull'indipendenza, sebbene fosse stato dichiarato illegale dalla magistratura spagnola. Le operazioni di voto furono segnate dalle violenze della polizia spagnola e della guardia civil inviate da Madrid a reprimere le operazioni di voto: la giornata terminò con oltre 900 feriti fra i civili, e le immagini della resistenza pacifica dei votanti e delle cariche della polizia si seggi fecero il giro del mondo. Secondo gli organizzatori della consultazione popolare, 2,3 milioni di elettori, su complessivi 5,5 milioni, presero parte al voto e il 90% di loro votò "sì" a una repubblica catalana indipendente. Dopo il referendum, il 27 ottobre del 2018 il governo catalano dichiarò unilateralmente l'indipendenza da Madrid che reagì sciogliendo il parlamento, rimuovendo l'esecutivo regionale e convocando nuove elezioni, in cui gli indipendentisti hanno conservato la maggioranza. Diversi leader catalani fuggirono all'estero, altri vennero arrestati. Complessivamente 13 leader catalani sono stati accusati di ribellione: nove di loro sono in carcere in Spagna da quasi un anno in attesa di giudizio, mentre altri quattro - fra cui lo stesso Puigdemont riparato a Bruxelles - si trovano in Belgio, Scozia e Svizzera. Diversi paesi europei hanno rifiutato la loro estradizione verso Madrid per i delitti di "sedizione" e "ribellione" per i quali rischiano fino a 30 anni di prigione.

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"La priorità è individuare strumenti efficaci per invertire l'attuale tendenza - Fabrizio Sala, deputato di Forza Italia in Commissione Finanze a Montecitorio -, puntando sul benessere collettivo e sullo sviluppo economico e sociale. Occorrono misure per incentivare le nascite e contrastare l'invecchiamento della popolazione, rafforzando al contempo l'assistenza dei Comuni e controllando la qualità degli investimenti. Fondamentale promuovere una cultura dell'inclusione e creare condizioni che favoriscano l'indipendenza economica dei cittadini".

Definisce preoccupanti i numeri forniti dall'Istat Mauro Del Barba (IV), segretario della Commissione Finanze della Camera: "I dati Istat sulla povertà minorile, con il 29,6% dei minori a rischio, sono definiti allarmanti e riflettono anche l'indebolimento del ceto medio, storicamente motore dell'ascensore sociale. Si sottolinea la necessità di investimenti strutturali e continuativi in educazione e sostegno alle famiglie, superando misure temporanee come i decreti-legge".

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