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Gianluca Vacchi: "Per avere successo bisogna mettersi in gioco. E se non lo capite attaccatevi al c..."

Nell'articolo che segue, Gianluca Vacchi spiega "come trovare una via d'uscita". Il messaggio è chiaro: per avere successo bisogna mettersi in gioco. E nel pezzo racconta di un avvocato che, dopo aver letto il libro del "re dei social", è diventato leader europeo nell'allevamento di lumache. Nel video, lo stesso avvocato che spiega, in sintesi, come Vacchi lo ha spinto a mettersi in gioco. Di seguito, l'articolo. “Hard times, hard times, come again no more. Many days you have lingered all around my cabin door. Oh, hard times, come again no more” (Tempi duri, tempi duri, non tornate più/Per molti giorni avete indugiato intorno alla porta della mia baracca/Oh, tempi duri, non tornate più). Quelli che avete appena letto sono i versi del ritornello di un celeberrimo brano di Bob Dylan - in realtà un arrangiamento di una canzone traditional - contenuto nel suo ventottesimo album, “Good Has I been to you”, pubblicato nel lontano 1992. Omaggio al recente Premio Nobel per la letteratura a parte, perfino in un'epoca come la nostra, in cui pessimismo e precarietà sembrano dominare, dobbiamo ribellarci allo stato di cose presente, che si potrebbe riassumere nel passaggio da un'idea moderna di futuro come promessa a quella attuale di futuro come minaccia. È ancora possibile trovare una via d'uscita allo stato catatonico in cui sembra versare una società, in particolare il mondo giovanile, in preda a quelle che qualcuno ha definito “passioni tristi”, ossia impotenza e disperazione a fronte di un mondo in cui tutto appare cambiare, mutare giorno dopo giorno, mettendo a dura prova il sistema economico-finanziario, il lavoro, la politica e le relazioni sociali, nonché le stesse capacità individuali di far fronte ai cambiamenti in atto? La risposta è, non può che essere, sì, come ho cercato di dire nel libro che ho pubblicato con Mondadori, non a caso intitolato Enjoy, e come cerco di mostrare giorno dopo giorno, appunto, utilizzando i più diffusi strumenti social. Una cosa, tuttavia, deve essere chiara: il tempo della critica, anzi della critica critica, ossia della negatività costi quel che costi, è giunto al tramonto. Ciò di cui, invece, abbiamo dannatamente bisogno è, innanzitutto di idee, di proposte, di esempi e modelli in grado di apprendere il futuro che sta a noi portare a compimento. Tanto per essere ancora più chiari. Non abbiamo più tempo per aspettare che altri, come sempre, facciano quello che ognuno di noi è in grado di fare, perché ogni esistenza, vale la pena di ricordarlo, è un'esperienza unica e irriducibile, una condizione personale e individuale, particolare ed eccezionale rispetto alle altre; una singolarità, sia pure immersa in una rete di relazioni e connessioni. È proprio questa consapevolezza che deve essere alla base delle nostre scelte. Come mi è capitato più volte di affermare: non ascoltate chi prova a limitarvi: vivete la vostra vita, ne avete solo una e ognuno deve provare a lasciare un segno, un'impronta sempre un po' più oltre di quella che qualcuno ha stabilito essere la lunghezza giusta del passo. Occorre, allora e per prima cosa, mettersi in gioco, vivere senza paura né sensi di colpa nel mostrare con naturalezza i frutti del nostro lavoro e del nostro impegno, combattendo l'idea moralistico-borghese che il far vedere cose belle, in un periodo di crisi, sia amorale, perché esiste una funzione che vale molto di più di quanto valga il finto moralismo.  Una funzione che è quella dell'esempio, dello stimolo, della capacità di emulare e di essere emulati, di avere e suscitare fiducia. Di me si sono dette e si continuano a dire molte cose, alcune ovviamente - anche questo è il prezzo della notorietà - non del tutto positive, per usare un eufemismo. Qualcuno, bontà sua, ha voluto gratificarmi col titolo, certamente più che lusinghiero, di “re dei social”. In realtà, sono questo e altre cose ancora. Se volessi dare di me stesso una definizione almeno soddisfacente, utilizzerei un'espressione che a me piace molto e che ritengo possa costituire una vera e propria cifra della odierna condizione umana: un essere multiplo, costantemente alla ricerca di esperienze in cui mettere alla prova se stesso e i propri talenti. “Cambio dunque Sono”, questo è in poche parole ciò che meglio rappresenta la mia modalità di essere nel mondo e che, perdonatemi l'ambizione, dovrebbe costituire la massima aspettativa e aspirazione di ognuno. Sono questi i motivi che più mi hanno spinto a farmi catturare dalla Rete, in particolare il desiderio di mettermi in gioco - celebrity o non celebrity -; di relazionarmi con un pubblico fatto soprattutto di giovani e di trasferire loro un po' delle mie esperienze. Una scelta di espormi al pubblico, sia detto en passant non certo facile, esposta innanzitutto al rischio di essere annoverato tra quei “morti di fama”, che altro non fanno e ad altro non mirano, stando a certa letteratura critica, che esibire se stessi e il loro ego. Oppure, anche questo va detto, al rischio di diventare facile preda, da subito, di invidie e risentimenti di ogni genere e specie; oggetto di scherno e malcelata disapprovazione per aver osato profanare l'immagine dell'imprenditore giacca e cravatta, attento solo a perseguire i propri interessi economici, ad accumulare soldi. Nulla di tutto questo è vero nel mio caso, come hanno subito compreso tutti coloro - ad oggi, mentre scrivo, circa 9,5 milioni - che mi seguono su Instagram e Facebook, visionando le mie fotografie e i miei video e, quel che più conta, postando i loro commenti, ai quali rispondo personalmente: un patrimonio, questo sì che ha dell'incredibile, di vite, desideri, attese e speranze (chi più ne ha più ne metta). Una rete, più che un semplice pubblico, che ha risposto in maniera entusiastica alla mia pretesa di avere qualcosa da dire - pardon, da mostrare - senza alcuna ritrosia e senza nascondimenti di sorta, in modo assolutamente coerente e trasparente. Credo di aver trasmesso l'idea che nulla è impossibile per tutti coloro - in particolare i giovani - che sono in grado, in primo luogo, di coltivare con tenacia e perseveranza i propri talenti, di sperimentare e mettere alla prova le proprie capacità; di afferrare il tempo e le occasioni che in esso si presentano; di mantenere un atteggiamento aperto e, in ogni caso, improntato alla cortesia e alla cordialità nei confronti di tutto ciò che li circonda. Ciò di cui, evidentemente, c'era e c'è un gran bisogno. Qualche sera fa, in un locale, ho incontrato del tutto casualmente una persona, un giovane trentenne, che, dopo avermi avvicinato, dicendomi «ti devo ringraziare; ero e sono avvocato, dopo aver letto ho letto il tuo libro, e con un altro amico abbiamo aperto un'azienda di lumache e oggi siamo tra i primi in Europa. Enjoy Gianlu» (per i miscredenti, agnostici e via di seguito, le riprese dell'incontro sono nella disponibilità del quotidiano). A beneficio di coloro che non hanno occhi per vedere né orecchie per intendere posso solo affermare: «Questo è il motivo per cui io faccio quello che faccio, chi non lo capisce si attacca al cazzo!». di Gianluca Vacchi

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