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Carlo Calenda, Alessandro Giuli: "Sa fare tutto tranne che la politica"

Carlo Calenda sa fare tutto tranne una cosa: la politica. Sa parlare con ottima padronanza (al netto di qualche strascico da romano bene sulla cosiddetta "c dolce" affricata postalveolare sorda: "disciamo"), conosce le lingue straniere e si esprime in un inglese fluente come si addice a ogni manager pubblico e privato (e lui modestamente lo fu per conto di Luca di Montezemolo e per meriti propri), impersona con appassionata veemenza il fenotipo del patriota liberale che ha studiato davvero, ha confidenza con il mondo internazionale, ha un ego piacione commisurato alla sua imponente stazza fisica esibita sui social con autoironia in pose azzardate e bagni lacustri fuori stagione fra cigni stupefatti; è padre da quando aveva più o meno i calzoni corti e ha una numerosa e bellissima famiglia. Insomma possiede tutti i requisiti per essere un fuoriclasse della politica nell' epoca divoratrice della tirannia digitale. E invece niente: quest' anima loquente del buon senso civico ha le idee giuste ma le coltiva nel modo sbagliato, incapace com' è di fare squadra. Lo si nota dal fatto che prima ancora di aderire a un progetto, di regola, lui l' ha già sfasciato a furia di voluttuose scazzottate. Leggi anche: Renzi-Calenda fanno asse. Un siluro sul Pd in Puglia: pazzesco assist alla Meloni Pochi giorni fa ha rilasciato al Messaggero un' intervista che vale come un' epitome della sua traiettoria: «Il governo tira a campare, con Matteo collaboriamo». Perché Calenda è fieramente all' opposizione della squinternata maggioranza giallorossa sorretta con sontuosa paraculaggine dal suo ex amico e premier Renzi, del quale Carlo ha voluto anticipare le mosse scissionistiche creandosi in estate un partito su misura ("Azione") insieme con Matteo Richetti: un modo intelligente per prenotarsi il posto d' onore nel nuovo centro che va prefigurandosi dentro il sistema impazzito di un bipolarismo proporzionalista all' italiana? Lo sappiamo tutti ma è bene ricordarlo: dopo aver servito la Patria in qualità di tecnico per diversi anni e tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni), Calenda dal 2019 fa l' europarlamentare con una valanga di preferenze che si è procacciato personalmente sotto le insegne del Partito democratico. Un' affiliazione tempestosa e momentanea, durante la quale il nostro si è subito piazzato nel ruolo del bastian contrario: nemico di ogni richiamo della foresta socialista e sovietizzante. Più renziano di Renzi, si direbbe, tanto che i due si sono sempre pizzicati con asprezza. IL GEMELLO GIGLIATO - Per parecchi mesi Calenda non ha fatto altro che rilevare l' incoerenza del suo gemello gigliato, arcinemico dei grillini con i quali infine si è risolto a sgovernare l' Italia in società con Nicola Zingaretti sdraiato ai piedi del finto europeista Emmanuel Macron, di cui Renzi per l' appunto crede di essere l' avatar di Rignano. Ma adesso il ragazzone romano deve aver fatto due conti: con la decomposizione delle vecchie obbedienze di coalizione, l' occasione di mettere su un raggruppamento centrista si fa ghiotta; ma con i sondaggi che circolano 'ndo vado da solo? Già. «A questo terzo polo - ha detto al Messaggero - noi stiamo lavorando con Più Europa. Quanto a Renzi, siamo d' accordo a ragionare su candidati comuni nel voto delle regionali». Rieccoli, dunque: lui, Emma Bonino con la quale aveva flirtato avvicinandole la sua componente piddina "Siamo Europei", e il concorrente necessario Renzi. Stretti in un abbraccio tardivo ma indispensabile per valicare soglie di sbarramento e altre insidie sulla via giusta. Auguri sinceri, incoraggiati dalla possibilità di toccare percentuali a due cifre nel caso in cui ai due galletti liberali e alla matriarca radicale si aggiungano i forzisti berlusconiani, magari guidati dalla principesca Mara Carfagna. Resta il fatto che Calenda ha almeno due progetti in testa contemporaneamente: il centro liberale alternativo alla sinistra più involuta e al sovranismo cruento di Matteo Salvini; la scalata solitaria al Campidoglio dove giace l' ombra molesta di un sindaco impopolare e delegittimato come Virginia Raggi. «Non faccio nomi, ma serve qualcuno che abbia una conoscenza molto profonda e di tipo anche tecnico della Capitale». Non fa nomi, Calenda, ma pensa a se stesso. Altrimenti non avrebbe postato su Instagram, a fine anno, una sua foto da Fori romani corredata da una didascalia inequivocabile: «Annuale pellegrinaggio di tre generazioni di Calenda ai Fori. Centro del mondo e luogo di nascita dell' Occidente. In marcia verso il Campidoglio». Appunto. IRRUENTO - La verità è che Carlo C. sta bene a mala pena con se stesso. È uno sparigliato a cui piace sparigliare. Ciò nonostante, da lui possiamo attenderci molto. È capace di attaccare Macron senza rinnegare l' europeismo smodato del quale è portavoce ideale; elogia Giorgia Meloni quando lei difende una povera madre nigeriana incresciosamente dileggiata in un ospedale di Sondrio; litiga in televisione, in piazza o su internet con operai furenti e improvvisati politici pentastellati alle prese con la controversa eredità da lui lasciata al ministero dello Sviluppo, vedi le crisi irrisolte dell' Ilva, di Embraco e di Whirpool Insomma è un imprevedibile, irruento, a volte goffo ma sempre autentico nomade della politica costretto a nomadare (cit. Giorgia) dalla sua natura di outsider. Un Boris Johnson capovolto che con alterne fortune si batte per fare grande l' Italia in Europa e proteggerci da noi stessi. Se sapesse anche fare politica con gli altri, sarebbe il numero uno. di Alessandro Giuli

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