Renata Polverini muore in ginocchio da Matteo Renzi, che disonore: il commento di Alessandro Giuli
Per passare dai saluti romani all' inchino alla Leopolda occorre un salto carpiato con triplo avvitamento ideologico ma pare che a Renata Polverini l' impresa possa riuscire. Dopo essersi autosospesa dal gruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, l' ex segretaria dell' Ugl (il sindacato post fascista disceso dalla vecchia cara e nera Cisnal) dovrebbe ufficializzare a breve il suo ingresso in Italia Viva. Casa Renzi, insomma: un domicilio piccolo ma ben più promettente del tempestato partito berlusconiano. All' origine della lancinante decisione ci sarebbero questioni di coscienza: Renata non sopportava più la sbandata filosalviniana (ma dove?) dei suoi colleghi, i quali oltretutto hanno mortificato la sua sincera adesione al progetto d' integrazione dei migranti chiamato ius culturae. Sicché lei ha deciso di prendersi una pausa per «una serena riflessione sulla possibilità di continuare le battaglie che hanno sempre caratterizzato la mia attività politica e professionale in un partito che sembra aver smarrito lo spirito liberale e riformista delle origini». Leggi anche: Polverini, colpo basso a Berlusconi: "Cosa pensa davvero di Renzi" MUTAZIONE GENETICA Il paradiso del trasformismo è lastricato dalle lapidi dei liberali inconsolabili, ma in Polverini s' indovina qualcosa di più: come una sopraggiunta mutazione genetica, quasi il tentativo di maracarfagnizzarsi un poco per somigliare per quanto possibile allo scintillante idealtipo di riserva repubblicana rappresentato dall' originale Mara, alla cui nota cena dei dissidenti Renata ha presenziato con convinzione stentorea. Talmente convinta da aver già scavalcato tutti a sinistra, lei che viene dalla destra bling bling costituzionalizzata da Silvio Berlusconi e che grazie quell' aborto di successo chiamato Popolo della libertà ha governato con i voti del centrodestra la Regione Lazio dal 2010 al 2013 (festeggiò urlando sulle note di Lucio Battisti: «Come può uno scojo arginare er mareee») salvo poi cederla anzitempo nelle mani di Nicola Zingaretti, travolta com' era (la Regione) dagli scandali di Batman Fiorito e dalle inchieste della Corte dei Conti sugli sperperi di denaro pubblico. Nel video (Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev) le parole di Renata Polverini su Italia Viva E già prima d' allora nell' ex camerata Polverini s' intuiva la presenza di un animo al passo coi tempi: azzimata, atticciata e mondanissima; lanciata dai sorrisi di Giovanni Floris sugli schermi televisivi di "Ballarò" - in definitiva dietro un uomo o una donna di successo, a destra, c' è quasi sempre una trasmissione di sinistra come rampa di lancio - la nostra Renata ha subìto finanche i corteggiamenti di Walter Veltroni. Ma era opportuno, se non proprio naturale, che risciacquasse prima i panni di famiglia nell' azzurro mare del berlusconismo. E così è stato, finché possibile e conveniente. CONTESTAZIONE Di lei si ricordano istantanee eloquenti in cui sorride orgogliosa sugli spalti della Curva nord laziale, dietro una sciarpa degli Irriducibili. I cronisti rammentano pure, con un certo gusto, la volta che l' allora neogovernatrice del Lazio fu contestata al grido di «fascista torna a CasaPound!» e costretta ad abbandonare il palco di Porta San Paolo in occasione delle celebrazioni per il 25 aprile (nella circostanza il povero Zingaretti, presidente della Provincia, fu centrato a un occhio da un limone). Ma non si può dire che a Polverini faccia difetto il coraggio: come sindacalista ha affrontato i suoi avversai a cielo aperto, fra scioperi e comizi appassionati. Come parlamentare ha continuato a svolgere il proprio onesto lavoro in aula e in tivù per arginare ogni torsione liberista ai danni delle classi meno abbienti. A TESTA ALTA Un esempio fra i tanti: quando ha definito il Jobs act «un incubo da cancellare» e si è gettata anima e corpo in difesa dell' articolo 18, con parole indimenticabili scolpite a lettere di fuoco nella sua biografia politica: «Io sarò coerente con la mia storia. Ho proclamato ben sei scioperi contro Berlusconi e alcuni di questi erano proprio a difesa dell' articolo 18. Allora ero convinta, come lo sono oggi, che sia l' architrave del diritto del lavoro». E via così, culminando in un assalto accorato contro le immaginifiche utopie regressive del bullo di Rignano: «Sembra ascoltare soltanto il suo specchio ripetergli quanto sia il più bravo in un reame in rovina è giunta l' ora di dire basta all' annuncite cronica di Renzi». È lo stesso Renzi verso il quale veleggia adesso Renata, abbronzata e contrita? È lui. Ma a questo punto non chiedete a noi se la destra italiana sia diventata una sinistra in ritardo o se non sia la sinistra a fare la destra in anticipo. di Alessandro Giuli