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Lega Nord, il piano dei magistrati per far fuori il partito di Matteo Salvini alla vigilia delle elezioni

La notizia non è che la magistratura vuole confiscare 48 milioni di euro e rotti alla Lega, ma che aspira in questo modo ad applicarle la pena di morte. Non c' è dubbio: la Lega Nord è un morto che cammina. Il Carroccio ha preso il posto della carretta che al tempo di Robespierre conduceva Luigi XVI e Maria Antonietta verso la ghigliottina. Senza un soldo, con i conti bloccati, non si stampa un volantino, non si cuciono le bandiere, non si fa campagna elettorale insomma. E si crepa, non si esiste più: chiamare le prossime elezioni esercizio democratico, sarebbe un abuso. Tanto vale che i giudici stabiliscano per sentenza chi tra Cinque Stelle e Pd vincerà, perché il centro-destra l' hanno messo fuori gara. I fatti. La sentenza che a Genova il mese scorso ha condannato in primo grado Umberto Bossi a due anni e mezzo per truffa e il suo partito a restituire una cifra sconsiderata, è stata già un' invasione barbarica del territorio assegnato alla "sovranità popolare". Purtroppo questo aborto del diritto ha trovato partiti, governo e presidente della Repubblica incredibilmente silenti, secondo il motto meglio-alla-Lega-che-a-noi. Si pensava: ci vorranno anni, campa cavallo. Ed ecco invece la mossa della procura ligure, che vuole saltare addosso ai conti e agli immobili della Lega senza aspettare la Cassazione. C' è fretta di liquidare un partito. E questo dovrebbe mobilitare non solo i timidi esponenti della casta, i quali si preoccupano più del loro posticino che dei destini della democrazia, ma anche e soprattutto gli anti-casta. Non pensiamo infatti che costoro se la siano presa in questi anni con i politici destituendoli a furia di magistratura, così da passare lo scettro del potere a impiegati dello Stato che nessuno ha eletto, essendosi limitati a vincere un concorso. Provo a spiegare la vicenda della condanna di Bossi e della sua assurdità, a lume di buon senso e di Costituzione, la quale assegna la sovranità al popolo, ed essendo questa il bene supremo, non dovrebbe essere lesionato da un Tribunale che sindaca sulle righe di un bilancio su cui deve avere competenza solo chi il popolo abbia eletto. Prima della legge Letta del 2013, che ha stabilito la regola del 2 per mille, i partiti avevano diritto a spartirsi un contribuito cosiddetto elettorale in proporzione ai voti ottenuti. Dopo di che le varie liste dovevano presentare a Camera e Senato un rendiconto delle spese effettuate, degli eventuali investimenti. Insomma, un bilancio firmato dal tesoriere, controfirmato dal segretario politico (atto non previsto dalla norma e dunque senza valore legale) e vidimato dai revisori dei conti. Un partito incassa dallo Stato quanto gli spetta, una testa un tot. Dovrebbe essere discrezionalità del suo leader e degli organi dirigenziali la decisione sul modo di usare i denari per guadagnare consensi. Cosa è successo nel caso della Lega? Probabilmente qualcuno stufo di Bossi e del suo cerchio magico ha fatto trapelare folcloristici movimenti di soldi da parte del cassiere Belsito, e spese improvvide. Acquisto di diamanti (peraltro una cifra che alla fine è risultata di qualche decina di migliaia di euro, un' inezia sul totale), titoli della Tanzania (roba minore anch' essa), spese mediche dell' Umberto, consumazioni e qualche multa pagata ai figli di Bossi. Su queste ultime storie si è montato l' albume a neve. In realtà la sottrazione di soldi all' attività politica propriamente detta è ammontata non a 48 e rotti milioni di euro, ma a meno di trecentomila euro secondo i pm (i quali non hanno voluto ammettere la congruità del diritto-dovere di un partito alla salute e all' efficienza del proprio leader e fondatore), e poche centinaia secondo la difesa. Ma qual è stata l' imputazione poi confermata dal Tribunale (primo grado, si badi)? Ha ragionato così il giudice, certo in buona fede: se il bilancio ha delle voci fasulle, qualsiasi ne sia l' entità, tutto il finanziamento è percepito illecitamente. Non ha chiesto la restituzione della cresta fatta da un amministratore infedele, ma la somma totale, come se fosse stata l' esito di una truffa tutta quanta. Ciascuno capisce che si va contro il buon senso. È come se lo Stato dovesse pretendere, una volta pagato il salario a un suo funzionario (in questo caso un partito, che è uno strumento fondamentale della democrazia, con dignità costituzionale), di vagliarne il ménage familiare. In secondo luogo. Ognuno capisce che eventualmente il bilancio mendace andrebbe contestato al tesoriere (come successo alla Margherita), e non certo a Bossi. Il quale oltretutto, per ragioni che ci vergogniamo a ricordare, non pare che in questi anni successivi al colpo apoplettico sia idoneo al lavoro di ragioniere. Invece no: una botta a Bossi, il quale forse sarebbe dovuto essere difeso dai suoi nel merito e nel metodo, invece che farlo oggetto della manifestazione delle scope per spazzarlo voi come ciarpame. Ma il punto non è il colpo all' Umberto, anche se ci preme come persona e come politico. Ma è la mazzata alla nuca della Lega. Infatti, se passa questa richiesta della procura di Genova, il Carroccio non finisce in rimessa in attesa della bella stagione, ma viene confiscato come fa Equitalia con le macchine degli inadempienti. E vogliamo vedere se qualcuno osa puntare il dito contro la Lega facendosi bello della propria purezza. Siamo sicuri che tutti i partiti abbiano i bilanci con le virgole a posto? Ci si rende conto che se vale questo precedente, un cavillo è sufficiente a mettere fuori gioco qualsiasi forza politica? Come diceva quel tale: chi è senza peccato, scagli la prima pietra. Ci rendiamo conto che in questo mondo di puri e farisei tutti hanno il sasso pronto, ma scava scava qualcosa salta sempre fuori, uno scheletruccio si trova dappertutto. Altro che il bilancio di un partito, qui la truffa che rischia di essere portata a compimento con le migliori intenzioni di equità da parte dei magistrati, è di espropriare non un patrimonio materiale che tra l' altro non esiste, ma di danneggiare irreparabilmente quella cosa che si chiama libertà politica, e prevede che ciascuno competa sulla base di idee e programmi. Il Parlamento, se esiste per tutelare il bene a nome democrazia, si svegli e si decida a sanare con una legge questa stortura. Si tratta di riaffermare l' art. 1 il quale segnalerebbe che "la sovranità appartiene al popolo", se non che da ventitré anni circa la Costituzione si dimostra un cesto di uova che le toghe hanno la facoltà di sbattere per farne la frittata che gli aggrada. Ed ogni pretesto è buono per rovesciare il risultato delle urne, usando il codice come un cappio per gli sventurati che hanno il consenso dei cittadini ma hanno commesso il reato di non essere di sinistra. di Renato Farina

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