Domenico Gnoli e la rivincita dell'insignificante. Nelle sue tele la lentezza è un valore
Nicoletta Orlandi Posti, in questa nuova puntata di ART'è, visita la retrospettiva dedicata dalla Fondazione Prada a Domenico Gnoli, l'esploratore della realtà e del dettaglio. Concepita da Germano Celant, la mostra riunisce più di 100 opere realizzate dall’artista dal 1949 al 1969 che testimoniano come Gnoli sia slegato da ogni movimento artistico: la meraviglia che suscitano le sue cose non ha il tono dell’ossessiva replica della pop-art, da un lato, e nemmeno quello astratto, onirico. Sono opere che incrociano i percorsi del minimalismo, dell’iperrealismo. Sono tele perfette per Insagram, i social, per lo scrolling. Nello stesso tempo i quadri di Gnoli chiedono di essere osservati con calma, con abbondanza di tempo. Con concentrazione. Si assiste così all’esaltazione delle superfici, dei colori e dei materiali, alla rivincita dell’insignificante. La treccia geometrica di una chioma femminile, il collo abbottonato di una camicia Oxford, il taschino aperto di un blazer spigato, così come le forme dei corpi sotto una trapunta stesa sul letto, mostrano la bellezza del dettaglio e del particolare, laddove invece il quadro generale conterrebbe troppe informazioni e troppo caos. L’ordine dipinto da Gnoli però è tutt’altro che freddo: questi vestiti, questi polsini e queste cravatte, queste scarpe non sono astratti still-life: si intuisce un corpo, e una vita ad animarli. Il contesto, negli oggetti di Gnoli, non c’è quasi mai, ma lo si immagina, implicito. Potrebbe essere quello di un contesto nobile, borghese, visto che la biografia che lo vede figlio di una contessa e di un importante critico d’arte. Ma è bello pensare che questi siano i vestiti buoni della domenica di una famiglia proletaria, di un letto semplice sistemato con cura. È il contesto delle cose fatte bene e conservate meglio, in cui la lentezza è un valore. Merita assolutamente di essere visitata.