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Ciao Franco Battiato, ecco perché al Maestro piaceva la destra

“È un vero Bignami di stimabilissima cultura da Nuova Destra”, quando nel ’92, il critico musicale Gianfranco Manfredi recensì il disco l’Arca di Noe tutti capirono quanto Franco Battiato, nonostante quell’aria da esistenzialista alla Sartre, non fosse affatto di sinistra. Oggi che il maestro, a 76 anni, ci ha lasciato urge ricordarne sì l’eclettismo in 50 anni di esperienze musicali, di provocazioni, di esperimenti che variano da Stockhausen alla musica araba al canto dei sintetizzatori. Ma è altresì doveroso ricordare che Battiato, politicamente aveva il suo centro di gravità permanente fondamentalmente a destra, anche se lui rifiutava le etichette. La sua era una destra antica, fuori dal tempo e dallo spazio. Battiato amava l’antico Egitto e l’India dei Re sacerdoti, dove “l’autorità spirituale coincide con quella temporale”. Apprezzava da vero snob la cultura penitenziale cattolica, attacca l’imperialismo dei nuovi russi, vedeva il sesso nei ghirigori dei danzatori dervisci. Aveva come modelli l’esoterista Renè Guenon quello del Re del mondo (destrissima) e Ezra Poud da cui aveva studiato la tecnica del fango di parole. Si cullava sugli echi della musica classica e del mistico George Gurdjieff, dal suo locale preferito di Parigi sfogliando il Libro tibetano dei morti. In più, come tutti i fascisti immaginari dell’omonimo libro di Filippo Rossi e Luciano Lanna (in cui viene abbondantemente citato) il Maestro rifiutava l’inglese come lingua d’occupazione e, cantando, emozionatissimo davanti a Papa Wojtyla diceva: “Non servono più eccitanti o ideologie/ ci vuole un’altra vita”. E, alla fine, ci è arrivato.

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